Barba incolta, fisico asciutto. Un’allergia manifesta per camicie e cravatte: meglio una felpa e dei comodi jeans. Dettagli fuorvianti quelli che, a prima vista, fanno somigliare Giampaolo Tabarrini più a un vignaiolo del Kakheti – tutto qvevri, Rkatsiteli e Saperavi – che all’alieno che dimostra d’essere, mentre racconta come stia trasformando la sua cantina in un concentrato di avvenirismo e tecnologia. Montefalco come Cape Canaveral, o giù di lƬ. Per l’esattezza ĆØ la frazione Turrita a ospitare “l’Area 51” del vino italiano.
Piaccia o no a Steven Spielberg, E.T. pare un pivello al cospetto di G.T.: Giampaolo Tabarrini, per l’appunto. “L’incoscienza consapevole ĆØ la madre di tutte le grandi opere – commenta il vignaiolo alieno durante la visita di WineMag.it alla nuova struttura – e la tecnologia offre un sostegno indispensabile al processo super customizzato, che ha come obiettivo l’esaltazione dell’artigianalitĆ del vino”.
Nulla di meglio per sintetizzare un progetto di 5 mila metri quadrati su tre piani, pensati e realizzati a braccetto con gli architetti Andrea Balletti e Andrea Sabbatini (studio Balletti+Sabbatini di Massa Martana – PG).
Spazi ampi, che consentirebbero al grande interprete del Sagrantino di produrre 1,5 milioni di bottiglie, a fronte delle 60 mila attuali, con 16 ettari di vigneto. “Numero che non ĆØ destinato a crescere, se non di altre 20 mila bottiglie, con l’entrata in produzione dei nuovi impianti”, assicura l’enologo Alessandro Meniconi. La struttura, cosƬ spaziosa (2.200 metri quadrati di pavimento lucidato) serve a ben altro.
Ad accogliere gli ospiti, appena al di lĆ dell’ingresso, sarĆ la cucina del bistrot, con bancone americano da 25 sedute, intervallate da piante di limoni. Lo gestirĆ Federica, moglie di Giancarlo Tabarrini, che servirĆ i prodotti dell’azienda agricola, dagli ortaggi ai salumi. Piatti semplici ma deliziosi, per chi prenota la visita con degustazione.
Grande attenzione al servizio e, in particolare, ai calici. Saranno tutti custoditi in una “rastrelliera” realizzata su misura, con sistema di asciugatura e aerazione “anti straccio”. Accanto al bistrot, una serie di tavoli e sedute per testare i vini in vendita nel wine shop, circondato da luminose vetrate.
Atmosfera calda e rilassata, grazie al camino con ventole per l’aspirazione dei fumi, per godersi l’effetto “relais” senza scherzi per l’olfatto, durante il tasting. Giampaolo Tabarrini un po’ alieno e un po’ Steve Jobs: in quest’area sarĆ come entrare in un Apple Store. Ma al posto dei cellulari ci sarĆ il vino.
Ogni singola postazione sarĆ infatti connettibile a smartphone e tablet dai clienti, mediante sistema Nfc, lo stesso scelto da Walter Massa per i tappi “intelligenti” del suo Derthona. Fondamentale anche il ruolo della luce.
Un sistema di faretti integrati nel soffitto (500 metri di cavi) renderĆ regolabili i toni del bianco, in base alle condizioni dell’esterno. L’obiettivo? Far sentire chi degusta un tutt’uno con la natura circostante, seguendo i cicli delle stagioni.
Un lungo corridoio collegherĆ l’area ristoro e il wine shop alla sala per eventi e cerimonie, con vista sulla stanza destinata all’appassimento delle uve di Sagrantino. Ci sarĆ spazio per 500 sedute al coperto. Un record per una cantina del centro Italia.

Il cuore della struttura resterĆ la vecchia torre, dalla quale si potrĆ accedere grazie a un badge alla parte superiore. Qui saranno ospitati gli uffici e alcune suite, con vista (e accesso) a un tetto sui generis, che ospiterĆ il giardino pensile e diversi appezzamenti di terreno adibiti ad orto, funzionali al bistrot.
La coibentazione e impermeabilizzazione dell’intero edificio ha richiesto, per questo, 3 mila metri quadrati di guaina di poliurea. Nei sotterranei sorge invece la cantina, unica area ormai ultimata, nel 2015. Si cambia spazio, ma non la musica. Anche qui, nella zona più cara al vignaiolo alieno, ĆØ tutto un luccicare della “Giampaolo Tabarrini philosophy“.
Luci intercambiabili, domotica, tablet, smartphone e app per controllare tutto, o quasi: dal colore emesso dai faretti ai sistemi di lavaggio delle vasche e dei legni, passando per l’archivio e l’area destinata a “I vini degli Amici” produttori. Senza tralasciare la gestione dell’areazione e lo stock a pallet, collegato ai singoli ordini e fatture.
Un progetto che sta assorbendo ormai da anni energie e ingenti risorse finanziarie del vignaiolo di Montefalco, che non per questo dimentica la vigna. Anzi. “La tecnologia ci aiuta a perfezionare tutto quello che abbiamo in testa e che non siamo in grado di seguire e monitorare con la stessa attenzione e velocitĆ del pensiero”, sottolinea Tabarrini.
Ingegnerizzare la cantina non significa perdere qualcosa in termini di artigianalitĆ . Come puoi pensare di essere naturale e tradizionale e non avere un sostegno tecnologico? Ć una puttanata! PerchĆ© prima o poi, da qualche parte scappellerai e giustificherai l’errore con la naturalitĆ . Una puttanata, ripeto”.
“Puzzette, volatili e altri difetti non sono sinonimi di naturalitĆ , bensƬ di errori umani: qualcosa che non doveva succedere ĆØ successo. Più vogliamo essere estremi nel modo di fare vino, più dobbiamo essere sicuri, anzi certi, di eliminare le possibilitĆ di errore”.
Anche su questo fronte, Giampaolo Tabarrini ha trovato conforto nella tecnologia, in cantina. “Abbiamo impostato un sistema di supervisione di fermentazione dinamica – annuncia a WineMag.it – che ci consente di gestire lo stato fermentativo del vino in base a una serie di parametri registrati in annate analoghe”.
In parole semplici, il vignaiolo di Montefalco ĆØ in grado di gestire in maniera scientifica l’avvio, la tumultuosa e la coda della fermentazione sulla base dei dati raccolti nelle precedenti vendemmie, ritenute similari. Un sistema di “alert” permette di intervenire per tempo, in caso di difformitĆ rispetto alla curva di fermentazione impostata.
“Poter fare meglio di ieri ĆØ il motivo per cui mi sveglio la mattina”, commenta senza mezzi termini Tabarrini, che si toglie qualche sassolino dalla scarpa: “Io spesso mi incazzo e litigo con chi parla di ‘vini veri‘ e ‘vini naturali‘, per due motivi: gli altri sono falsi? Sono di gomma? Il vino non nasce in natura. E può anche succedere che se ci mettiamo a sedere col calice, questa gente piglia boccatoni!”.
Il vino ĆØ un prodotto frutto della cultura dell’uomo e la cultura ĆØ conoscenza. Avete mai visto una mucca, un cane, una lepre o una volpe bere vino, sotto a una pianta? Se dai il vino a un cane, non lo beve. Nessun animale berrebbe vino.
Significa che non ĆØ un prodotto della natura! L’unica bestia che lo consuma ĆØ l’uomo. Quindi il vino ĆØ un prodotto dell’uomo, non della natura. Dire che un vino ĆØ naturale ĆØ una presa per il culo allucinante”.
Continua Tabarrini: “Più ĆØ alta la cultura dell’uomo che fa vino, più alto sarĆ il livello qualitativo del vino che quell’uomo ti presenterĆ . Non c’ĆØ altro modo di descrivere un processo di trasformazione: l’uva, in natura, non diventa vino. E pure per l’aceto ci vuole l’intervento umano, per non fare una ciofeca. La tradizione ĆØ la somma delle conoscenze e l’artigianalitĆ ĆØ tradizione e conoscenza”.
Da qui l’idea di mettere a disposizione della natura, ovvero dei 16 ettari di vigneti di proprietĆ , una cantina iper tecnologica, in grado di valorizzare la materia prima della vigna: “Oggi mi definisco ‘vignaiolo produttore di vino, rubato temporaneamente all’agricoltura’ da questo importante progetto della nuova cantina”.
“Il mio lavoro di sempre – aggiunge Tabarrini a WineMag.it – e quello che a me piace fare ĆØ in vigna. PerchĆ© sono pignolo, non ho voglia di non seguire la nascita, la crescita e la maturazione di un ambiente per me fondamentale”. E sbaglia chi pensa che, a cantina ultimata – entro il 2021-2022 – Tabarrini si godrĆ i frutti, magari accanto al figlio Filippo, 17enne che inizia a muovere i primi passi tra vigna e tini (e tablet).
“Il nonno mio diceva sempre: ‘Finita la gabbia, morto l’uccello’. Sta cosa mi romperebbe un po’ li coglioni, quindi… Niente inaugurazione o tagli del nastro! Credo che tutte le opere belle siano incompiute: si finiscono step, non progetti. Ć bello anche ricominciare e mettere tutto in discussione”. Punto e capo, per ricominciare. Sempre.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila (in primis quelli cagionati da haters e “screditatori” seriali). Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiositĆ i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia.