E se il vino naturale fosse quello da “bere” col cuore, al posto della bocca?

Natalino Del Prete, pioniere del movimento in Puglia, apre la mente a una nuova interpretazione


EDITORIALE –
“So benissimo che i miei vini hanno dei difetti. Ma è sempre meglio un vino naturale difettato che un vino fatto con le polverine”. Natalino Del Prete, pioniere del movimento dei vini naturali pugliesi, è uno di poche parole ma dai concetti schietti e affilati, espressi col candore dell’autentico puro di cuore.

Lo intercettiamo a Sannicandro di Bari, al termine di una degustazione di sei vini della sua cantina di San Donaci (Brindisi). Un appuntamento con la viticoltura più verace e rurale, inserito nell’ambito del programma di Radici del Sud 2019, il Salone dei vini e degli oli del Meridione.

Ho sempre creduto nei vini naturali – racconta il vignaiolo salentino – perché sono uno che si batte per il bene comune. Per me il vino naturale è quello che fornisce gli anticorpi alla persona. È una medicina“. E i difetti? “Tutti abbiamo pregi e difetti – commenta Del Prete – e poi bisogna capire cosa si intende per difetti”.

“Tutti gli esseri viventi hanno dei difetti e anche i miei vini ne hanno, per carità. Ma se per correggerli devo usare delle porcherie o delle cose che non sono genuine, preferisco lasciarli come sono“.

“Eppure – ammette Natalino Del Prete – il vino naturale sta diventando una moda. E le mode non sempre rispecchiano le esigenze delle persone, che ne sono attratte, coinvolte, assorbite. Pure gli Scapigliati erano una moda. I Sofisti erano una moda”.

“Dopo la moda, credo rimarranno in piedi solo quelli che se la sentono di pagare di persona. Rimane sempre in piedi quello che fa le cose per amore, per vocazione e con i sacrifici. In alcune annate perdo l’uva e quindi non ne faccio un discorso economico. Se non facessi vino naturale farei volontariato, missioni, cose così. Ogni morte di uomo mi diminuisce perché sono parte dell’umanità”.

Quindi è una missione fare il vino? “Per me sì – risponde Natalino Del Prete, fissandoti negli occhi – e quindi missione e imprenditoria nel mio caso vanno a braccetto. Io sono trattato da imprenditore, ma sono un lavoratore. È dalle 4 di questa mattina che sono in piedi (sono le 22.30, ndr). Quando sono in vigna e sento il profumo dell’uva, penso sia impagabile. Chi ti paga queste emozioni?”.

Un noto portale e-commerce inserisce le etichette di Natalino Del Prete nella categoria “vini coraggiosi“. Sarebbe meglio chiamarli “vini intimisti” o “di concetto”. Difettati perché puri. E puramente difettati, seguendo il discorso di Del Prete, al netto delle carenze tecnico-scientifiche delle sue affermazioni.

Le nostre note di degustazione de “Il Pioniere“, “Anne“, “Jolly” e “Sorso Antico” confermano di fatto una schiera di difetti che evitiamo di pubblicare. Una coltre che nasconde la purezza del frutto, complica la bevibilità e fa arrossire le portate proposte in abbinamento dal bistrot in cui si è tenuto il tasting.

Eppure, pensare alla passione del vignaiolo e alla profondità del suo agire in vigna fa bene all’anima e all’animo. Mentre l’ultima snasata acetica punge il cervello come un ago in un pagliaio di eterei punti di domanda, profumi e sapori passano in secondo piano.

Il cuore si allarga. E il candore intimo del generoso Natalino inebria la mente e scende giù, fin sopra allo stomaco. È il Naturali’s karma: che senso ha bere con la bocca quando si può bere col cuore?

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