Semplicità, originalità, autenticità. Tre parole che basterebbero, più di qualsiasi altra, a spiegare i vini, gli uomini e la filosofia dell’Azienda agricola Sosol, Miglior cantina Nord Italia per la Guida Winemag 2025. Una realtà giovanissima, proprio come Ivan Sosol e il suo sogno di trasformare l’attività avviata dal papà Mariano in un concentrato di Collio da portare in giro per il mondo.
Il cambio di passo e la nascita dell’azienda si deve proprio al giovane vignaiolo, stanco di vendere alla cooperativa locale le proprie uve e desideroso di “mettere in bottiglia”, autonomamente, i frutti delle proprie fatiche e di quelle della propria famiglia, creando un nuovo marchio di qualità e di nicchia, per sé e per il territorio. Così, nel 2019, nasce l’Azienda agricola Sosol Ivan. Pochi vini dal packaging accattivante, con il cognome stilizzato, dai colori fluorescenti. La sintesi della voglia di farsi riconoscere, sin dall’etichetta, nonché del desiderio di lasciare un segno indelebile.
Le bottiglie crescono dalle originarie 2.500 (circa 5 ettolitri per ognuna delle quattro varietà locali) sino alle 20 mila attuali, grazie a 10 ettari tra proprietà e affitto. Tutto tranne che casuale il successo, pressoché immediato, sui mercati. Le vigne e la cantina si trovano infatti nella “Conca d’oro” di Oslavia, a pochi metri di distanza da nomi sacri del Collio come Radikon, Gravner e Primosic. Per la precisione, siamo in Località Lenzuolo bianco, nome pregno di storia coniato durante la Prima Guerra Mondiale, per identificare il muro bianco di un caseggiato rimasto intatto durante i bombardamenti e ben visibile a centinaia di metri di distanza, anche dal vicino Monte Sabotino, al confine tra Italia e Slovenia, ovvero tra Collio e Brda.
UNO ZIO SPECIALE PER IVAN SOSOL: FRANCO SOSOL (IL CARPINO)
«Lo zio (anche lui premiato dalla Guida 2025 per il Miglior Vino Orange/Macerato dell’anno, titolare dell’Azienda agricola Il Carpino di San Floriano del Collio, ndr) e il papà mi hanno trasmesso la passione per il vino e per il nostro territorio – spiega Ivan – e piano, piano ho iniziato a muovere i primi passi in autonomia. Sono convinto di aver fatto la scelta giusta, visto il risultato ottenuto e la crescita del numero di bottiglie in un periodo tutto sommato breve, a fronte delle richieste crescenti del mercato».
Ivan Sosol ha le idee chiare per il futuro: «Voglio puntare ancor più sulle varietà autoctone della zona, come Malvasia, Ribolla e Friulano – spiega – e non fare più di cinque vini per linea. Dal prossimo anno, infatti, farà il suo esordio sul mercato la seconda linea aziendale, che raggrupperà i vini macerati e andrà ad affiancarsi alla linea dei vini che potremmo definire freschi. Le prime prove sulla Ribolla sono molto promettenti».
MARIANO SOSOL: «IVAN HA SEGUITO IL RICHIAMO DELLA TERRA»
Non può che essere soddisfatto anche il papà, Mariano Sosol. «La scelta di Ivan di imbottigliare il frutto delle nostre vigne, a partire dal 2019, si è rivelata più che mai vincente. Del resto, la nostra famiglia ha sempre avuto le vigne e non abbiamo mai smesso di produrre uve. Pur essendo da 50 anni in questo ambiente, non è mai stata la mia attività principale, lavorando in banca. Per Ivan il discorso è diverso: ha voluto seguire il richiamo della terra e ha fatto benissimo. L’intenzione è quella di andare avanti, puntando sempre più sulla qualità del prodotto e non sulla quantità». Più che una promessa, una garanzia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Cantine Casabella di Castell’Arquato e A.v.p.g. – Azienda Vitivinicola Gazzola Pietro e Stefania di Travo sono al centro di un’inchiesta dei carabinieri del Nas di Parma coordinata dalla Procura di Piacenza, che ha avuto anche riflessi su personalità di spicco dell’ente certificatore Valoritalia. L’ipotesi è la contraffazione di vini Dop dei Colli Piacentini e la frode in commercio. Gutturnio, Ortrugo, Barbera, Malvasia e Trebbianino sarebbero stati mescolati con vini di altre zone – le percentuali che variano dal 20 al 53% – contro quanto stabilito dai disciplinari di produzione dei vini a denominazione di origine controllata (Doc) o a Indicazione geografica protetta (Igp).
COLLI PIACENTINI: CONTRAFFAZIONE E FRODE SU 500 MILA BOTTIGLIE
Secondo l’accusa, le aziende avrebbero contraffatto 60 mila litri, per un totale ipotizzabile di circa 80 mila bottiglie. Le due cantine, che operano in modo assiduo con la Grande distribuzione, per esempio con insegne come Carrefour Italia, sono riconducibili alla holding Piacenza Wine Group, di cui è titolare l’imprenditore Pietro Gazzola. La notizia dell’indagine è stata diffusa per la prima volta nei giorni scorsi dal quotidiano locale Libertà.
PIACENZA WINE GROUP DI PIETRO GAZZOLA NEL MIRINO
Il gruppo è stato fondato nel 2019 dall’unione della cantina di Gazzola, A.v.p.g., e Cantine Casabella. Un’operazione che non è passata inosservata nel mondo del vino piacentino ed emiliano-romagnolo: 7 milioni di euro il patrimonio netto della holding e 11,5 milioni di euro il valore stimato della produzione, all’epoca dell’accordo. In seguito alle prove raccolte dai Nas di Parma nelle due aziende vinicole, sono dodici le persone indagate dalla Procura di Piacenza. Si tratta del titolare e di alcuni dipendenti, tra cui un agronomo e un enologo.
SILURATO IL DIRIGENTE DI VALORITALIA A PIACENZA
Nel mirino anche il dirigente dell’ufficio di Piacenza di Valoritalia, silurato dai vertici dell’ente con licenziamento per giusta causa. Allontanati anche due ispettori dell’agenzia piacentina, consulenti esterni responsabili di negligenze durante i controlli effettuati nelle cantine. Pratiche scorrette scoperte grazie a un’indagine interna dell’ente certificatore, che dichiara di aver collaborato sin da subito con gli inquirenti. Alla base della contraffazione di vini Dop dei Colli piacentini ci sarebbe infatti una sistematica alterazione dei registri di cantina, utile a giustificare le giacenze dei vini Dop e Igp.
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Il Miglior vino dolce italiano 2024 è il Colli Piacentini Doc Malvasia Passito 2016 “Le Virtù della Pioggia – Sensazioni d’Inverno” della cantina La Conchiglia – Claudio Terzoni Vini. Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 (acquistabile a questo link) è di 96/100. Un passito che conferma le grandissime potenzialità del territorio dei Colli piacentini, chiaramente in provincia di Piacenza, in Emilia Romagna, nella produzione di grandissimi vini dolci da uve Malvasia.
LE VIRTÙ DELLA PIOGGIA – SENSAZIONI D’INVERNO MIGLIOR PASSITO ITALIANO 2024
Alla vista, il Passito 2016 “Le Virtù della Pioggia – Sensazioni d’Inverno” della cantina La Conchiglia – Claudio Terzoni Vini si presenta di uno splendido colore ambrato carico, luminoso. Conquista sin dal primo naso con i suoi ricordi di frutta fresca, dall’albicocca sotto sciroppo alla pesca, passando per note più esotiche di ananas, papaia. A fare da sfondo, elegantissime erbe mediterranee come mentuccia, salvia e timo, con accenni di verbena. Concerto di spezie come cardamomo e coriandolo, che poi virano su memorie di liquirizia fusa e rintocchi di rabarbaro, cola e zenzero.
Il miglior vino dolce italiano 2024 per la Guida Top 100 Migliori vini italiani di winemag.it è in continuo mutamento nel calice. Sfodera un ingresso di bocca e uno svolgimento di equilibrio magistrale. Densità da vendere, srotola una dopo l’altra le note già avvertite al naso, sul filo di una decisa freschezza e di una marcata e corroborante vena sapida. La beva del passito Le Virtù della Pioggia – Sensazioni d’Inverno della cantina La Conchiglia – Claudio Terzoni è tattile, carezzevole e decisa, morbida come cotone e al contempo verticale. Persistenza infinita.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Un’elegante Special edition serigrafata per due etichette della linea premium Piccini Collezione Oro. Orvieto Classico Doc e Rosato Toscana Igt vestono i colori dell’estate per allietare gli appassionati nella stagione più spensierata dell’anno.
Una novità che ravviverà gli scaffali del vino dei migliori supermercati italiani. E se è vero che l’occhio vuole la sua parte, anche il calice non fa eccezione: i vini Collezione Oro sono stati infatti premiati da Vinialsupermercato.it per l’ottimo rapporto qualità prezzo, nonché per il rispetto della tipicità delle uve e dei territori di produzione.
«Questa edizione speciale serigrafata – commenta Mario Piccini, amministratore delegato di Piccini 1882 – è un piccolo omaggio che rivolgiamo a tutti i winelovers. L’auspicio è che possano finalmente degustare ottimi ed eleganti vini, in compagnia delle persone più care e degli amici».
«Le etichette sono raffinate e prodotte attraverso un’antica tecnica artigiana che consentiva di imprimere un’immagine sui più preziosi tessuti in seta. Ma soprattutto rievocano la spensieratezza dell’estate. Una leggerezza d’animo che ci siamo meritati dopo i difficili mesi passati e che ci auguriamo possa allietare i pranzi, le cene e gli aperitivi di tutti noi».
ORVIETO CLASSICO DOC COLLEZIONE ORO
Le due etichette Collezione Oro Special Edition non sono state scelte a caso da Mario Piccini. Orvieto Classico Doc nasce dalla collaborazione con l’enologo Riccardo Cotarella, originario delle terre orvietane.
Un vino che si distingue per complessità e fresca piacevolezza. Una nobile espressione del territorio e della selezione dei migliori cloni di Grechetto, vinificato con Procanico e Chardonnay.
Fine ed elegante, è un vino dal colore giallo paglierino. Al naso un profumo delicato e complesso, con note floreali e frutta a polpa gialla. Al palato rivela la sua morbidezza ed intensità aromatica.
La frutta matura, con accenni esotici, trova supporto in freschezza e sapidità. Orvieto Classico Doc è perfetto per ogni cena estiva. Accompagna antipasti, risotti a base di verdure, carni bianche e pesce.
ROSATO TOSCANA IGT COLLEZIONE ORO
Rosato Toscana Igt è un vino fresco e profumato. Piccini 1882 lo dedica ai winelovers più giovani. Il vino è un blend di Sangiovese, Merlot e Malvasia che racchiude in sé la moltitudine di suoli e climi della Toscana.
Un insieme che, dalla zona costiera mitigata dalle brezze marine, giunge fino alle grandi escursioni termiche tipiche del Chianti. Il Rosato si presenta delicato, dal colore rosa tenue ottenuto grazie a una breve macerazione del mosto sulle bucce.
Al palato mostra la sua freschezza ben bilanciata da note di frutta rossa matura. Il finale è intenso e persistente. Rosato Toscana Igt è un vino perfetto per l’estate. Ottimo per accompagnare aperitivi, antipasti, pesce e carni bianche.
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Cresce l’attesa a Salina per la decima edizione del Malvasia Day, evento dedicato alla viticoltura eroica delle isole Eolie. Quella del 20 luglio 2021 sarà la prima organizzata dal Consorzio di tutela della Malvasia, dopo le edizioni presso la Tenuta di Capofaro della famiglia Tasca d’Almerita.
Sarà una festa dedicata ad un vino leggendario per storicità, ma anche per la capacità di rappresentarne l’identità culturale, viticola ed enologica delle isole Eolie. Con il Malvasia Day 2021 riparte in Sicilia anche il progetto di valorizzazione del turismo e della ristorazione.
LE CANTINE ADERENTI AL MALVASIA DAY 2021
Sarà possibile degustare i vini delle cantine Barone di Villagrande, Caravaglio, Colosi, D’Amico, Fenech, Hauner, Punta Aria, Tenuta Capofaro e Virgona. Per la prima volta aderiscono anche Barbanacoli, Eolia e Tenuta di Castellaro.
«Inaugureremo il Malvasia Day 2021 affrontando il tema della storia della vitigno e il suo indissolubile legame con il territorio», sottolinea Mauro Pollastri, presidente del Consorzio Malvasia delle Lipari.
Con la narrazione della nostra Doc, insieme ai nostri ospiti e produttori, vogliamo suggerire alcuni spunti utili ad interpretare il futuro che ci attende con un occhio globale, puntando su promozione e valorizzazione sia in Italia che all’estero».
SALINA E ISOLE EOLIE SI RILANCIANO
«Un’edizione – aggiunge il vicepresidente del Consorzio, Ivo Basile – che afferma il valore di un’economia sana, che trova il supporto di viticoltori esperti e un rinnovato slancio per l’ottenimento dell’Erga Omnes».
Il Consorzio potrà svolgere funzioni di tutela e sviluppo della denominazione, per un “vigneto Eolie” piccolo, costoso, e che non può non crescere guardando al valore a alla rete tra i produttori».
Alle parole di Ivo Basile si aggiungono quelle di Carlo Hauner, ex Presidente del Consorzio: «L’Erga Omnes ha dato slancio al territorio e quanto seminato negli anni sta portando i suoi frutti, in comparti diversi».
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Friuli Dop e Friuli Venezia Giulia Dop, con le rispettive traduzioni in sloveno “Furlanija” e “Furlanija Julijska krajina“, sono state iscritte nel registro europeo dei vini a Denominazione di origine protetta (Dop). L’atteso via libera è arrivato il 13 novembre, attraverso la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del Regolamento di esecuzione Ue 2020/1680 del 6 novembre 2020, in riferimento all’articolo 99 del regolamento Ue 1308/2013 del Parlamento e del Consiglio europeo.
La tutela delle nuove Dop potrà essere riservata ad alcuni vini fermi e frizzanti originari delle provincie di Pordenone, Gorizia, Trieste e Udine nel Friuli Venezia Giulia. Un’area importante per la viticoltura italiana, con le prime tracce comprovate già a partire dall’VIII secolo a.C.
In particolare, nella Dop della Regione Friuli Venezia Giulia sono state inserite 18 tipologie di vini e spumanti: Bianco friulano, Ribolla gialla Spumante Metodo italiano (Charmat) e Spumante Metodo classico, Verduzzo, Riesling, Chardonnay, Traminer, Malvasia, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Refosco dal Peduncolo Rosso. I vini friulani si uniscono così ad altri 1174 vini Dop già tutelati dall’Ue.
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Un vino rosato fuori dagli schemi per numero di vitigni assemblati, ben 7, che regala un sorso di grande freschezza, ampio e persistente, nonostante i quattro anni trascorsi dal suo imbottigliamento. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it l’annata 2016 del Colline Pescaresi Igp Rosato “Plenus Rosa Rosae” prodotto dall’azienda Marina Palusci.
Una tipologia di vino, quella dei rosati, che negli ultimi anni sta vivendo un trend positivo di crescita, che incontra sempre più il favore dei consumatori grazie alla facilità di abbinamento e alla fresca beva. Caratteristiche ritrovate anche in questo calice.
LA DEGUSTAZIONE Dall’assemblaggio dei 7 vitigni nasce un vino di un colore rosa piuttosto scarico, ma di buona consistenza. Il naso è dominato al primo impatto da chiari sentori fruttati di fragoline di bosco e ciliegie, per poi virare su sentori più floreali, intensi e nitidi, con un filo di fumè in sottofondo.
In bocca è ampio, avvolgente, fresco e in perfetto equilibrio grazie all’ottima struttura e alla buona acidità. A tratti al palato ricorda la tessitura e l’austerità del Montepulciano d’Abruzzo ma mantiene una sua identità, con un finale che ricorda la rosa.
Davvero versatile negli abbinamenti in cucina. Plenus Rosa Rosae si accosta bene a fritture di pesce o a pizze gourmet. Si tratta infatti di un rosato che ben sostiene piatti anche mediamente strutturati, grazie alla sua ampiezza e alla sua persistenza.
LA VINIFICAZIONE Questo particolare rosato di Marina Palusci è prodotto con uve Montepulciano d’Abruzzo, Sangiovese, Malvasia, Pecorino, Lambrusco Salamino, Trebbiano e Moscato Rosa. La fermentazione avviene in maniera spontanea, con lieviti indigeni presenti naturalmente sulle bucce.
Le uve raccolte, diraspate e pressate, vengono messe in serbatoi di acciaio dove sostano fermentando per circa 18 giorni. Segue un periodo sulle proprie fecce di circa 10 mesi. Prima dell’immissione in commercio, il Colline Pescaresi Igp “Plenus Rosa Rosae” affina 6 mesi in bottiglia, imbottigliato con tappo a vite.
L’azienda Marina Palusci si trova a Pianella sulle dolci colline dell’entroterra pescarese ed è capitanata da Massimiliano D’Addario, un giovane dalle idee chiare e vincenti. Produce principalmente olio extravergine di oliva di grande qualità (12 tipi) in regime di agricoltura biologica e biodinamica.
Dal 2008 l’azienda ha avviato anche la produzione di vini, in un raggio di vigneti che si estendono complessivamente per circa 2 chilometri. Otto appezzamenti allevati principalmente a Montepulciano, Passerina e Pecorino dai quali nascono vini non filtrati, non stabilizzati e senza nessun additivo chimico in cantina.
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Anche il Consorzio di Tutela Vini Collio abbassa le rese per la vendemmia 2020, di una percentuale pari al 20% per tutti i vitigni disciplinati dalla Doc Collio: Pinot Bianco, Sauvignon, Friulano, Malvasia e Ribolla Gialla, per citarne alcuni.
L’ente, che comprende circa 300 produttori tra viticoltori e imbottigliatori per una superficie di 1500 ettari di vigneti collinari, ufficializza oggi la decisione dopo l’assemblea di martedì 30 giugno.
“Il compito del Consorzio – spiega David Buzzinelli, Presidente del Consorzio di Tutela Vini Collio – è quello di essere un organo di tutela del territorio, il nostro asset più importante. In un momento così delicato l’ascolto dei soci è stato fondamentale per indirizzare le nostre scelte verso la soluzione di abbassare le rese”.
“Questa decisione – aggiunge il numero uno del Consorzio di Tutela Vini Collio – ha l’obiettivo di supportare i viticoltori in difficoltà a causa dell’evento pandemico in corso e del conseguente calo delle vendite, mantenendo al contempo elevata la qualità dei nostri vini, riconosciuti in tutto il mondo per la loro eccellenza”.
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Tre bottiglie e una certezza: “Il Collio merita una Docg”. Si è presentato così a Milano, Roberto Pighin. Con Ribolla Gialla, Friulano e Malvasia sotto al braccio, che manco un francese con la baguette.
Poche cose, ma tutte meditate, nella valigia preparata a Spessa di Capriva (GO), smontata ieri al ristorante Ceresio 7. Un pranzo con la stampa per mostrare i tre pezzi (pregiati) di un puzzle su cui soffia solo il vento (gelido) della burocrazia.
Già perché la Docg, eventuale frutto dell’assemblaggio delle tre varietà più rappresentative del Collio Goriziano (la tanto discussa Gran Selezione) sarebbe solo una questione di buonsenso. In un Paese “normale”. In attesa di Vinitaly 2020, quando presenterà il suo Collio Bianco Doc, Roberto Pighin coccola le sue certezze.
Ed elogia il lavoro del suo enologo: “Paolo Valdesolo, ormai in pensione, ha formato in 20 anni di preziosa collaborazione con la nostra cantina il suo successore, il giovane Cristian Peres. A lui si devono alcune innovazioni tecnologiche, oltre alla scelta di lavorare con legni mai invasivi, che conferiscono ulteriore carattere alle etichette”.
LA DEGUSTAZIONE
Questo l’unico dictat di Pighin al suo winemaker, che ha risposto con convinzione: parlano chiaro i vini nella valigia pensata per la trasferta milanese del patron. Il Collio Doc Ribolla Gialla 2018(89/100) sfodera un naso ampio e intenso per la varietà.
Merito delle flottazioni del mosto con l’azoto, utili all’estrazione dei primari delle uve. Ancor prima, un gran lavoro in vigna, innanzitutto sulle rese: non si superano gli 80 quintali per ettaro. Il tonneau sul 10% della mass arrotonda la beva quanto basta, senza snaturare il varietale.
Dando anzi quel tocco di vaniglia, appena percettibile, che incomplessisce il vino, sia al naso che al palato. Tanto fiore fresco e tanto agrume, poi, su una mineralità che sfocia nella mandorla. Allungo finale piacevole, sul frutto, ma anche sul sale.
Ancor più interessante il Collio Doc Friulano 2018 (91/100). Al naso una nota minerale netta, di pietra bagnata. Fumo di sigaretta, frutto esotico e – ancora una volta – un fiore fresco, intenso. Accenno appena percettibile di idrocarburo.
In bocca è apprezzabilissimo il gioco tra una verticalità gessosa e la polpa: tra il sale e la sua essenzialità, e un frutto maturo che regala una misurata grassezza al sorso. Più che mai sufficiente la persistenza di un calice che fa della complessa bevibilità (non è un ossimoro, provare per credere) il suo fondamento filosofico.
Si chiude – alla grande – con il Collio Doc Malvasia 2018 (93/100). Leggermente velato il giallo paglierino di cui si tinge il calice. Naso nuovamente molto profumato, ben bilanciato tra l’aromatico e il secco.
Note di frutta secca come arachidi e nocciola contribuiscono alle venature più austere dell’etichetta, pur sempre bagnate dal succo di pesche e albicocche di generosa maturità. Un naso che continua a cambiare, mutevole come la temperatura nel bicchiere.
L’ossigenazione e quel mezzo grado in più si traducono in sbuffi verdi, di buccia di pompelmo e cedro. Non mancano ricordi di timo, anice e pepe bianco. In bocca la vena alcolica tiene a bada l’acidità (e dunque la freschezza) tanto da far risultare il sorso equilibrato e terribilmente “pericoloso”.
Samo di fronte a una di quelle bottiglie che si perdono tra le chiacchiere dei buoni amici, o tra le righe di un buon libro, davanti a un camino. La gran gastronomicità suggerisce di osare negli abbinamenti.
LA CANTINA
Le tre etichette presentate a Milano da Roberto Pighin sono il frutto di un capolavoro della natura. Un anfiteatro di vigneti situati nel cuore del Collio, nella zona vocata di Spessa di Capriva. Trenta ettari, tra i “cru” di altri nomi storici.
L’azienda agricola, in realtà, comprende anche un’altra tenuta a Risano, nelle Grave. Qui la produzione è più vasta (900 mila bottiglie) ed è assicurata da 160 ettari di vigneti.
“In queste zone, a partire dal 1963 – spiega Roberto Pighin – la mia famiglia coltiva l’amore per la terra e la passione per il buon vino. Una passione fondata su un preciso valore: difendere sempre la più alta qualità del vino, dalle vigne alla tavola”.
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ZIANO PIACENTINO – Saranno messe all’asta da Christie’s le prime 300 bottiglie di Malvasia di Leonardo da Vinci prodotte da Giovannella Fugazza nella cantina Castello di Luzzano di Rovescala, in provincia di Pavia.
L’annuncio è avvenuto in occasione del convegno organizzato domenica 8 settembre, nell’ambito del Valtidone Wine Fest 2019. Fugazza, che produce sia vini Doc dell’Oltrepò pavese sia vini Doc dei Colli Piacentini, è riuscita a dar vita a questa piccola produzione vinificando l’uva del cosiddetto “Orto di Leonardo” di Milano.
I grappoli – racconta l’imprenditrice – sono stati portati nella mia cantina e abbiamo seguito le tecniche di vinificazioni originali: pigiatura con i piedi e conservazione del vino in un’anfora. Il nettare si trova ora all’interno di bottiglie disegnate appositamente da Alessi Design. Abbiamo realizzato un prodotto per il quale tutta Piacenza deve essere orgogliosa”.
Da qui l’approdo del “Vino di Leonardo” da Christie’s. Ma non è un caso se la presentazione sia avvenuta a Ziano piacentino.
Il comune dei Colli Piacentini – che si candidano a diventare “capitale italiana della Malvasia” – registra la più alta percentuale vitata di Malvasia in Italia.
Il legame tra Leonardo e il territorio è riconducibile alla Malvasia Aromatica di Candia, qualità di uva che veniva coltivata nell’orto milanese del Genio, proveniente proprio dai Colli della provincia di Piacenza.
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PIACENZA – Ci sarà anche un incontro dedicato a una delle migliori espressioni della Malvasia in Italia, la Malvasia di Candia, al Gola Gola Festival 2019, in programma dal 7 al 9 giugno a Piacenza. Proprio il piacentino, infatti, è una delle case elettive del vitigno aromatico.
L’appuntamento è per venerdì 7 giugno, alle ore 21 in Piazza Cavalli. Al Palazzo Gotico andrà in scena “Malvasie o Marvàsie? Meglio la Candia di Piacenza. Trilogia di gusto in assaggio”. Un convegno utile a comprendere l’intricato intreccio tra la città dell’Emilia e questo vitigno, che dà vita a un vino dolce e sontuoso. La Malvasia di Candia, non una Malvasia qualsiasi.
Al contempo, per la prima volta in Italia, Gola Gola Festival 2019 ospita una degustazione guidata di sale italiano, di miniera e di mare, e anche dall’estero. Sabato 8 giugno, dalle ore 19 in Piazza del Duomo, si parlerà de “La via del sale a Piacenza: non tutti i sali sono uguali. Prima degustazione in abbinamento”.
Ne scopriremo delle belle – assicurano gli organizzatori -. Per legge il sale deve essere purissimo, non è un prodotto esoterico e da favola. Ha grandi funzioni terapeutiche, migliora la pelle, ne abbiamo bisogno quotidianamente, ma è anche pericoloso dosato male”.
Il sale arriva a Piacenza tramite gli antichi percorsi dei pellegrini e dei viandanti (dallo Staffora alla Cisa) che si spostavano dal nord verso Roma, verso Gerusalemme.
Dopo essere giunto al porto fluviale del Po, sbarca sui banchi del mercato di Piacenza da Genua e da Luni, all’epoca due potenti città, di cultura e di commercio.
Il sale è fondamentale per la conservazione del cibo. Senza sale non avremmo la Coppa, la Pancetta, il Salame, il Grana, il Bacalà, la Saracca piacentina. Ma il sale è anche condimento di piatti e da sapore.
E non è vero che tutti i sali sono uguali. Non è vero che “quanto basta” sia la dose giusta nelle ricette. C’è il sale giusto per la carne, per il pesce, per cuocere la pasta, per le verdure cotte e quelle fresche, per quelle a foglia o da tubero, da mettere a freddo o a caldo.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
(4 / 5) La sostanza oltre alla forma. Già, perché dietro a quel grembiulino da scolaretta “green”, dalle vaghe tinte radical chic, si nasconde un vino di carattere: la Malvasia 2017 “Clorofillae” di Orsogna Winery.
Un nettare dall’anima “ambientalista”, garantita dal brand “Zeropuro“: l’abitino-etichetta è facilmente separabile dalla bottiglia, per favorirne il riciclo attraverso la raccolta differenziata. La forma innovativa rispetta le normative di legge.
Pochi punti di colla, al posto della copiosa “inzuppata” dei vini convenzionali, la tengono ancorata al vetro. Molto più, insomma, dell’ormai sdoganato marketing sui vini da agricoltura biodinamica e “senza solfiti“.
“La sostenibilità come principio ispiratore e metodo pratico di lavoro”, per dirla con le parole della cantina abruzzese, certificata Demeter. Solo solfiti naturali, niente lieviti selezionati, fermentazione spontanea. Ma soprattutto un vino buono.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, la Malvasia Igt Terra di Chieti “Clorofillae” Zeropuro si presenta di un giallo paglierino con riflessi dorati, con velature leggere che ne rivelano il mancato filtraggio. Il naso è intrigante. I marcatori aromatici del vitigno risultano evidenti.
Ma alla frutta a polpa gialla, tendente al maturo, si affiancano preziose note che rimandano agli agrumi. Non mancano leggeri sbuffi speziati, che ricordano lo zenzero. Il sorso è corrispondente. Dopo un ingresso aromatico, il centro bocca verte su una nota vagamente amara, prima dei ritorni di frutta matura e liquirizia.
Il tutto in quadro di buona freschezza e salinità leggera, che controbilancia in maniera ottimale la polpa. Una Malvasia, “Clorofillae”, che con queste caratteristiche guadagna in complessità e, al contempo, in termini di bevibilità.
Un vino perfetto a tutto pasto, che accompagna bene piatti a base di verdure come torte salate o tortini, oltre a zuppe, pesce e carni bianche. Da provare anche con formaggi di media stagionatura.
LA VINIFICAZIONE Come tutti i vini di Orsogna Winery, anche l’Igt Terre di Chieti Malvasia “Clorofillae” rispetta alcuni principi fondamentali, garantiti dalla certificazione Demeter Italia.
L’anidride solforosa è usata al minimo dosaggio possibile. Vengono poi evitati coadiuvanti e additivi che incidono sull’ambiente e sulla salute, sia per il loro impiego sia per il loro smaltimento.
Inoltre, tutti i sottoprodotti che derivano dalla lavorazione delle uve, siano essi residui organici o acque reflue, sono gestiti in modo che gli effetti negativi sull’ambiente vengano minimizzati.
Da qui l’attenzione alle etichette, prodotte con una miscela di polvere di pietra (carbonato di calcio) e resine atossiche (polietilene ad alta densità) che agiscono come legante.
Nessun albero viene tagliato durante il processo di produzione della carta pietra perché si utilizza esclusivamente materiale inerte proveniente da scarti di lavorazione come base della sua composizione.
La carta pietra è fotodegradabile in un periodo di 14-18 mesi. È inoltre 100% riciclabile e recuperabile per produrre altra carta pietra, materiali plastici, materiali per l’industria edile e metallurgica e per l’agricoltura.
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BORGONOVO VAL TIDONE – C’era una volta il Gutturnio da osteria. Brioso e spumeggiante. Da sbicchierare al volo, quasi dalla damigiana. Senza far troppo caso alla qualità. C’era una volta e c’è ancora, nel Piacentino. Ma a Cantina Valtidone la coscienza impone altro: tante bottiglie, tanta qualità.
Una formula non sempre scontata, nell’Italia delle cooperative vitivinicole. Un obiettivo che invece centra in pieno la coop di Borgonovo Val Tidone. Una vera e propria “cantina territorio“, capace di promuovere una viticoltura di precisione, per certi versi eroica.
Il Cda guidato dal presidente Gianpaolo Fornasari, entrato in carica nel 2014, ha dato una sferzata determinante alle sorti della “sociale”. Con il “Progetto 20-20”, il nuovo team, piuttosto giovane e dinamico, punta a una crescita del fatturato fino a 20 milioni di euro. Entro il 2020.
IL NUOVO CORSO
All’appello, secondo i piani del direttore commerciale Mauro Fontana (nella foto, a sinistra), manca un milione e mezzo di euro. Un obiettivo che potrà essere centrato grazie all’ampliamento della platea di conferitori (oggi sono 223) e la disponibilità di nuovi vigneti.
Nell’ultimo quinquennio Valtidone sta ai viticoltori della zona come il miele alle api. Il pagamento riconosciuto per le uve conferite è davvero allettante: attorno ai 70 euro al quintale nel 2017, contro i 39,90 medi dalla precedente gestione. Cifre che le altre cooperative piacentine non riescono a eguagliare.
Oggi la produzione di Cantina Valtidone è di 7 milioni di bottiglie annue, garantite da 1.100 ettari. Ne servono altri per centrare l’obiettivo di 9,5 milioni di “pezzi”, entro il 2020. Ma non sarà un problema.
LA LINEA EROICA “50 VENDEMMIE”
Un quarto della superficie vitata della Val Tidone è già sotto il controllo della cooperativa fondata nel 1966, che punta ancora più in grande dopo le Nozze d’Oro del 2016. Cinquant’anni celebrati dalla nascita dalla linea di vini “50 Vendemmie”, che costituisce uno dei punti più alti della produzione.
Ortrugo frizzante, Malvasia frizzante e ferma e Gutturnio frizzante e fermo ottenuti da vigne di oltre 50 anni, di proprietà di una quindicina di viticoltori associati alla cooperativa. Tutte etichette riservate all’Horeca, ovvero le enoteche e la ristorazione selezionata.
La cosa più semplice sarebbe stata quella di espiantare questi vecchi vigneti in favore di nuovi impianti più produttivi – commenta il direttore commerciale Mauro Fontana – ma abbiamo voluto preservare questo patrimonio storico per produrre una linea di alta qualità”
LA DEGUSTAZIONE L’assaggio dell’intera linea non lascia spazio ad interpretazioni. Il packaging moderno e accattivante è il biglietto da visita di calici di grande rigore enologico, sul filo conduttore del rispetto del terroir. Si passa dalla garbata aromaticità della Malavasia alla consistente freschezza e mineralità dell’Ortrugo.
Note che connotano anche il rosso principe del Piacentino, il Gutturnio, nelle sue due versioni. Stupisce il frizzante, giocato proprio sulla mineralità, con il frutto rosso tipico di Bonarda e Barbera (che compongono il blend) a fare quasi da “contorno”. Il tutto completato da una gran facilità di beva, senza scadere nella banalità.
Cantina Valtidone si conferma specialista della Denominazione anche grazie al Gutturnio “Bollo Rosso”, il vino rosso dal taglio più internazionale, adatto ad accompagnare formaggi di lunga (e lunghissima) stagionatura, superiore anche ai 100 mesi. Un vino reperibile anche al supermercato, col plus dell’ottimo rapporto qualità prezzo.
Così come figura sugli scaffali della Grande distribuzione l’ottima “Luna di Candia“, altra chicca di casa Valtidone. Si tratta di una Malvasia di Candia passita che, nonostante il residuo zuccherino importante, mantiene una splendida freschezza. Complesso il quadro aromatico, che spazia dai fiori di zagara all’albicocca sciroppata, passando per le percezioni fumé.
Più snello e verticale “Perlage” Vsq Metodo classicoBrut base Pinot Nero, vero e proprio vanto dell’enologo Francesco Fissore, emigrato nel piacentino dopo l’esperienza a La Versa. Uno spumante che valorizza ancora una volta il vitigno, come non tutti riescono a fare neppure in Oltrepò pavese, la terra più vocata per il Pinot Nero “con le bollicine”.
Non a caso sono in corso sperimentazioni su affinamenti più lunghi, con l’intento di dar vita a un Pas Dosé entro il prossimo anno. Un’altra scommessa vinta – c’è da scommetterci – quasi in partenza.
IL FUTURO Ma tra le sfide del futuro c’è anche l’export. Oggi le esportazioni di Cantina Valtidone riguardano soltanto l’1% del fatturato complessivo, suddiviso equamente tra il canale moderno, la DO, e quello tradizionale, l’Horeca (2 i milioni generati dalla sola vendita diretta in cantina).
Mercati internazionali su cui la cooperativa piacentina si affaccia solo con le proprie forze, complice la situazione non proprio rosea del Consorzio di Tutela, da cui Valtidone si è chiamata fuori nel 2014.
“L’Emilia Romagna – evidenzia Mauro Fontana – è nota nel mondo soprattutto per il Lambrusco. Un vino strappato a basso costo dai buyer esteri. Con lo stesso approccio ci viene richiesto il Gutturnio, oltre agli altri vini tipici dei Colli Piacentini”.
La nostra idea, per non cadere nella trappola del prezzo e dei facili abboccamenti, è quella di perpetrare una crescita lenta ma basata su garanzie solide: non andremo mai a svendere il nostro prodotto all’estero, continuando piuttosto a puntare tutto sulla consolidazione del brand in Italia”.
Già, l’Italia. La vera America, sino ad ora, di Valtidone. La cantina piacentina è presente in maniera “forte” in sole tre regioni (e mezzo) del Bel Paese: Lombardia, Piemonte, Liguria e metà Emilia Romagna. “Bologna è già estero per noi”, ammette Fontana. Ma l’obiettivo è crescere anche fuori da questi territori. Sfruttando proprio i tanto bistrattati supermercati.
“Grazie alla Grande distribuzione – precisa il direttore commerciale Fontana – ci stiamo facendo conoscere in altre zone. Siamo per esempio sbarcati in Sardegna, mercato ostico per qualsiasi cantina, con Conad del Tirreno”. Ma l’esempio più clamoroso è quello della rossista Valtellina.
In un anno, il nostro agente di zona ha venduto appena 500 euro all’Horeca. Iperal, insegna locale della distribuzione organizzata, ha scontrinato 170 mila bottiglie nel 2018. E’ la prova che il potenziale dei nostri vini c’è. E la Gdo non può che essere una leva per sfondare in nuovi mercati, checché ne dicano i produttori con la puzza sotto il naso”.
Un approccio sincero e realistico, che si riversa tutto nel calice dei vini di Cantina Valtidone. Del resto, Mauro Fontana è un cercatore di funghi provetto. Uno abituato a sporcarsi le mani tra le le foglie d’autunno. Uno “con la camicia”, ma coi piedi per terra. Un po’ come potrebbero essere dipinti, idealmente, i vini di Cantina Valtidone.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
VENOSA – Siamo a nord della Lucania, alle pendici del monte Vulture, antico vulcano spento dalle cui cavità sgorgano le sorgenti di acqua minerale più grandi d’Europa.
Cantina di Venosa, società cooperativa, nasce qui nel 1957. Più di 350 soci, 800 ettari su 15 comuni nell’area del Vulture (la maggior parte in Venosa), più di 50 mila quintali di uve lavorate. Una sola referenza in GdO, “Baliaggio”, che da sola copre il 2,8% delle vendite della grande distribuzione. Il resto è destinato al mercato Ho.re.ca..
Questi i numeri, ma la realtà la si può capire solo mettendo piede in cantina. Una realtà che sta investendo in maniera concreta sul Vulture, con 5 milioni di euro di investimenti ed altri 3 previsti nei prossimi anni, anche sul fronte green.
Una società cooperativa gestita in modo “imprenditoriale”. Niente è lasciato al caso o all’iniziativa del singolo socio. Perfetto coordinamento fra i vari attori e grande attenzione alla gestione di vigneti, uve e cantina.
Lo si capisce bene ascoltando le parole di Antonio Teora (nella foto, sotto), Direttore Commerciale della cantina. L’idea è che anche se si fanno grandi volumi si può e si deve lavorare con estrema qualità.
LA FORMULA VINCENTE Anche se i vigneti sono curati da numerosi soci, l’attenzione deve essere alta e “centralizzata” per garantire la miglior materia prima. Come è possibile coniugare tutto questo? Con una serie di accortezze e progetti.
Un enologo e due agronomi a costante supporto della gestione di terreni e vigneti. Campionamenti continui delle uve per stabilire i corretti tempi di raccolta area per area. Autorizzazione alla vendemmia stabilita dalla cantina e non dal singolo socio.
Controllo delle uve in fase di ricezione in cantina su più parametri (visivo, zuccheri, pH, grado babo, fenoli) e non solo sugli zuccheri per allocare ogni partita alla corretta via di vinificazione. Ma non finisce qui. In cantiere ci sono altri due progetti.
Il primo è Win Up, un sistema di monitoraggio dei vigneti. Novanta soci strategici selezionati in costante contatto con la cantina fungono da “sentinelle”. Le informazioni vengono incrociate forniti da stazioni meteo e bollettini sanitari.
Tutto questo per prevenire malattie ai vigneti, con interventi mirati solo dove si verificano condizioni a rischio. Limitare il numero di trattamenti applicando lotta integrata “su misura” solo la dove e quando i vari microclimi lo rendano necessario.
Il secondo progetto vede molti attori coinvolti e prevede la mappatura a mezzo satellite della superficie vitata. Tre passaggi annui del satellite (3 luglio e 18 luglio, il terzo passaggio è previsto a fine agosto) che misurano lo sviluppo del vigneto (apprato fogliare, colore, vigoria, etc.) appezzamento per appezzamento.
Lo scopo è da un lato conoscere esattamente lo stato delle vigne per gestire correttamente potature, trattamenti e vendemmie.
Dall’altro arrivare nel medio periodo, incrociando le informazioni con i dati tradizionali, ad una perfetta zonazione dei terroir. Un sorta di approccio borgognotto 2.0.
IN CANTINA Diverse le tecniche di vinificazione, come ci spiega Donato Gentile (nella foto) enologo di Cantina di Venosa. Dalla più tradizionale, a temperatura controllata, alla più moderna vinificazione “a betoniera”, utile per ottenere una più veloce ed efficace estrazione di tannini nobili, colore ed essenza del frutto.
Nessun silos all’aperto. Uso del legno (rovere francese a pori aperti) quando necessario. Le varie partite di uva, monitorate, gestite puntualmente, vendemmiate in diversi momenti a seconda dei gradi di maturazione, testate e controllate vengono destinate alle varie vinificazioni per ottenere le varie linee di vini di Cantina di Venosa.
E l’approccio green si riversa anche nel processo produttivo: 70% la quota di vetro riciclato utilizzata, 100% cartone riciclato per gli imballi, nessun alveare nei cartoni delle linee base, utilizzo di colle vegetali e solo il 5% di nastro adesivo, impianto fotovoltaico per soddisfare il fabbisogno energetico.
Questi i numeri e le tecnologie che raccontano una realtà complessa ed articolata. Ma ciò che emerge davvero è un approccio legato al territorio, al valore enologico e culturale del vitigno principe di questo territorio: l’Aglianico del Vulture.
LA DEGUSTAZIONEVarie linee per vari stili. La linea vini “Verbo” di Cantina di Venosa, di recente creazione, è caratterizzata da un taglio molto moderno, capace di accontentare sia il consumatore meno esperto sia quello più esigente.
Basilicata Igt Verbo Bianco, 2017. Da uva Malvasia di Basilicata. Un vitigno dagli acini piccoli e concentrati. Utilizzo sapiente della tecnologia per salvare le caratteristiche organolettiche del frutto ed evitare ossidazioni.
Fermentazione in acciaio, passaggio in barrique nuove per una parte del vino. Giallo paglierino, al naso presente intesi profumi fruttati. Frutti esotici come mango e litchi, e frutti a polpa bianca ed una leggera nota floreale. In bocca entra morbido e scorrevole. L’acidità è ben vestita. Armonico nel complesso chiude il sorso con una piacevole nota amarognola.
Basilicata Igt Verbo Rosè, 2017. 100% Aglianico del Vulture. Color buccia di cipolla con rilflessi fra il dorato ed il ramato. Intenso profumo di frutti rossi, lampone e ciliegia. Grande freschezza in equilibrio con la morbidezza.
Basilicata Igt Verbo Rosso 2015. 100% Aglianico del Vulture. Vinificazione in piccoli fermentini e macerazione pellicolare a temperatura controllata, fermentazioni alcolica e malolattica in acciaio ed affinamento in legno per 12 mesi. Il risultato è una interpretazione moderna dell’Aglianico.
Rosso rubino presenta naso intensamente fruttato e morbido. Frutti rossi e neri come lampone, ribes, mirtillo, ciliegia ed una leggera nota di spezia dolce. Molto sapido presenta un tannino presente ma maturo. Un vino che, senza sbavature, rinuncia alla longevità in nome di una grande contemporaneità.
Basilicata Igt Terre di Orazio Rosè, 2017. 100% Aglianico del Vulture. Linea di vini che segue la tradizione, il Terre di Orazio presenta color cerasuolo intenso con riflessi quasi violacei.
Ricco di sentori fruttati in bocca è nettamente più verticale del Verbo Rosè. Molto sapido e con un tannino “soft” che accompagna il sorso. Un vino che non disdegna di essere bevuto a tavola accompagnando primi piatti anche saporiti.
Aglianico del Vulture Terre di Orazio, 2015. Vinificazione in acciaio ed affinamento in botte grande per 15 mesi. Un vino strutturato dal colore da colore rubino, quasi purpureo. Note di frutti rossi maturi, a tratti frutta macerata.
Pepe, caffè, fava di cacao. Ingresso potente in bocca, i 14% si fanno sentire ma sono immediatamente vestiti dalla piacevole morbidezza e freschezza. Scorre bene in bocca ed il tannino è perfettamente integrato nella struttura del vino.
Aglianico del Vulture Docg Carato Venusio 2013. Il top di Cantina di Venosa. Vinificazione e fermentazioni alcolica e mololattica in acciaio, affinamento in piccole botti (carati, per l’appunto) di rovere francese per due anni e per minimo 12 mesi in bottiglia.
Vino di grande spessore dal colore rosso rubino tendente al granato. Naso elegnate. Frutti rossi maturi che giocano a nascondino con la ciliegia sotto spirito. Spezie a volontà, pepe, liquirizia, tabacco, cuoio.
Grande balsamicità ed una nota mentolata a chiudere uno spettro olfattivo di grande eleganza. Morbido, molto sapido e di grande freschezza. Tannino setoso. Un vino di grande prospettiva: ottimo servito oggi a tavola, darà il meglio se dimenticato in cantina per un po’ di anni.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Mastrojanni e Biondi Santi. Due aziende che, negli anni, sono divenute “sinonimo” di Montalcino e di Brunello.
Abbiamo visitato i due storici produttori, capaci di dipingere come pochi la Toscana dei rossi di qualità.
MASTROJANNI
L’azienda agricola Mastrojanni nasce nel 1975 a Castelnuovo dell’Abate, estremo sud-est del comune di Montalcino, in provincia di Siena.
Novanta ettari, di cui 25 vitati, 14,5 dei quali atti alla produzione di Brunello di Montalcino. Vigneti di età compresa tra gli 8 e i 35 anni.
Oltre al Sangiovese (fra cui i cru Loreto e Schiena d’ Asino) troviamo piccole quantità di Cabernet Sauvignon e Moscato, che assieme a un tocco di Malvasia di Candia e Sauvignon dà vita Botrys Moscadello di Montalcino (vendemmia tardiva).
L’altitudine varia dai 150 ai 420 metri sul livello del mare, con esposizione delle vigne a sud-est. Ripide colline, più o meno scoscese.
Il terreno è composto da argille, ciottoli, tufi e arenarie e risente degli influssi del Monte Amiata, antico vulcano spento. La densità varia dai 3600 ai 5300 ceppi ad ettaro, con rese che non superano i cinquanta quintali per ettaro.
Vini che nascono rigorosamente in vigna. Nessuna trasformazione in cantina, dove anche la vinificazione e l’invecchiamento avvengono tradizionalmente in botti grandi: niente barrique, saltuariamente tonneau.
LA DEGUSTAZIONE Brunello di Montalcino “Vigna Schiena d’ASINO”, 14,5%. Affinamento in botti di rovere di Allier per 42 mesi e 12 mesi in bottiglia. Nel calice si presenta il colore è fitto eppur trasparente.Molto elegante al naso.
Si percepiscono frutti di macchia come ribes nero, marasca, in successione seguono spezie fresche e foglie di tabacco essiccato. Non delude in bocca rispecchiando alla perfezione tutto ciò che si è percepito al naso. Attacco ampio ed austero. Un vino pieno e sapido, fatto per affrontare il tempo.
Brunello di Montalcino “Vigna Loreto”, 14,5%. Affinamento in botti di rovere di Allier, 6-8 mesi in bottiglia. Rosso rubino brillante. Le componenti olfattive sono di notevole eleganza.
Il naso vine invaso da note di fiori e frutti rossi, rosa canina, prugna, marasca, spezie fresche e liquirizia. In bocca ha in ingresso potente e deciso, quasi invadente con tannino setoso. Chiude con un finale ampio ed importante.
Rosso Di Montalcino, 14,5%. 3 mesi di affinamento in bottiglia. Rosso rubino con riflessi porpora, vino di grande vivacità ed intensità nel colore. Impianto olfattivo molto generoso e giovane, con un bouquet fresco di prugna e ciliegia. L’ingresso in bocca è pieno ed intenso, termina piacevolmente tannico, sapido al palato.
Botrytis Moscadello di Montalcino vendemmia tardiva, 14,5%. Affinamento in bottiglia per 12 mesi. Oro brillante e intenso. Bouquet complesso ed evoluto con sentori di marmellata di albicocca, miele, frutta candita o sotto spirito, fico secco e pesca matura. In bocca si viene invasi dal suo calore avvolgente, la glicerina avvolge il palato e la lingua. Buona corrispondenza gusto olfattiva.
BIONDI SANTI La storia del Brunello del Greppo comincia con Clemente Santi. Laureato in farmacia a Pisa, dedicò gran parte della sua attività all’agricoltura, in modo particolare al Greppo.
Le conoscenze di chimica e di scienza lo aiutarono a portare le sue tecniche enologiche a livelli invidiabili ricevendo riconoscimenti per il suo Brunello nel 1965 ed ancor prima vedendo premiato il Moscatello all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867 (epoca in cui i francesi si ritenevano gli unici produttori al mondo di vino di qualità).
La figlia di Clemente Santi, Caterina, sposò Jacopo Biondi, medico fiorentino. Il loro figlio Ferruccio ereditò dal nonno materno la passione per il vino ed i vitigni ed unì i cognomi per un giusto tributo alla famiglia Santi.
Forte dell’esperienza straordinaria del nonno materno si dedicò con competenza all’azienda del Greppo e mentre gli altri viticoltori cercarono di mettere in beva rapidamente i vini rossi, egli guardò verso nuovi orizzonti e volle diversificarsi con un vino longevo vinificando in purezza il Sangiovese.
Nel 1932 viene investito del titolo di “inventore del Brunello” da una commissione Interministeriale. Il resto è storia. Storia di una famiglia che grazie ad una costante comunicazione dei suoi vini nel mondo è riuscita a far capire ed apprezzare la straordinaria tipicità e qualità del suo Brunello del Greppo.
LA DEGUSTAZIONE Brunello “Il Greppo” Riserva 1997. Trasparente nel suo colore granato. Bouquet agrumato ed erbe aromatiche di macchia mediterranea, tra tutte il rosmarino. In seconda battuta sprigiona sentori minerali di grafite e pietra focaia chiudendo con un leggero sentore di goudron.
In bocca colpisce per la sua eleganza e per il suo tannino imperioso ed austero che si palesa solo dopo aver goduto della acidità e sapidità del vino. Finale lungo e piacevole.
Brunello “Il Greppo” Riserva 2013. Abbiamo la fortuna di assaggiare il vino direttamente dall botte. Rosso rubino brillante. Al naso è abbastanza chiuso nelle sue note scure di tabacco e spezie.
Chiude con sentori minerali di gesso. In bocca presenta un tannino scalpitante, irruento, che invade le papille gustative.
Sassoalloro 2010. Rosso rubino netto. Naso caleidoscopico con nuovi aromi ad ogni olfazione: dal fiore rosso alla frutta a polpa rossa, dalla macchia mediterranea a sentori salmastri quasi marini, dall’aromatico al balsamico. In bocca è avvolgente con il suo calore e la sua morbidezza pseudo calorica, per poi cedere il posto ad un finale acido e sapido.
L’ESPERIENZA A MONTALCINO Difficile rendere le emozioni vissute durante un viaggio. Montalcino è così. Colori, profumi e sapori, che da soli meritano la visita. Comprendere un territorio visitandolo. Comprendere il concetto di cru osservando una vigna.
Sentirsi raccontare della ricolmatura delle bottiglie dalla voce di chi la ricolmatura la esegue. Conoscenza che si posso avere solo mettendo mano, meglio poggiando i piedi, su quel fazzoletto di terra.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Senza mezzi termini, uno dei migliori vini bianchi italiani qualità prezzo (attorno ai 10 euro) presenti sul mercato Horeca. E’ il Biferno Bianco Doc 2015 Kantharos di Angelo D’Uva. Una delle innumerevoli prove che il Molise “esiste”. E che il Molise “del vino”, esiste eccome.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo blend di Trebbiano e Malvasia si presenta, a due anni dall’imbottigliamento, di un giallo dorato, simile a quello della camomilla. Al naso è particolarmente intenso e complesso. Dapprima emergono note esotiche e di frutta matura, albicocca sciroppata, ananas, melone giallo.
Sorprendono i richiami a frutta a polpa rossa come l’amarena e il lampone stramaturo, di quello che si spappola appena lo prendi in mano. Il sottofondo, olfattivo e musicale, è quello di un sottile miele millefiori, corroborato da una preziosa vena campagnola, conferita dalla foglia di pomodoro rinsecchita.
L’ingresso in bocca è corrispondente al palato, più morbida che dura. Poi l’acidità accende il sorso, d’un tratto. Caldo per l’alcolicità, il Biferno Bianco Kantharos Angelo D’Uva trova un perfetto equilibrio al palato, grazie al calibro di un’acidità che sembra dosata col misurino.
Retro olfattivo sullo stesso fil rouge, citrico, tutto giocato su note di lime e pompelmo. Una chiusura austera rispetto alla “grassezza” e all’opulenza del primo bacio col nettare. Un vino, questo Kantharos di D’Uva, che alla cieca potrebbe essere scambiato per un Gewurztraminer di ottima fattura. Filo conduttore, l’aromaticità che accomuna Traminer e Malvasia.
In cucina, questo ottimo vino del Molise, perfettamente maturato in bottiglia – anche se non si tratta, formalmente, di un pensato per lunghi affinamenti – si presta bene all’accompagnamento di piatti della cucina asiatica, speziati, o di carni leggere.
LA VINIFICAZIONE
Sono Trebbiano (90%) e Malvasia (10%) a comporre il delizioso blend molisano Kantharos. Milleseicento ceppi per ettaro la densità d’impianto delle viti, che affondano le radici in un suolo argilloso e calcareo. La vinificazione prevede diraspatura e pressatura soffice delle uve.
Segue la chiarifica con flottazione. La fermentazione avviene invece alla temperatura controllata di 15 gradi. Il Biferno Doc Bianco Kantharos affina poi in acciaio per 4 mesi e riposa in bottiglia diverse decine di giorni prima di essere commercializzato.
Angelo D’Uva è uno di quelli che si fa chiamare ancora “vignaiuolo”. Con quel “iu” che sottolinea, forse, ancora meglio il concetto. La sua terra è Larino, in Molise: regione che ha tanto da dare all’enologia italiana. La storia della cantina “è una storia di famiglia”.
Fu il nonno Angelo a piantare i primi vigneti, negli anni Quaranta. Il figlio Sebastiano, negli anni 60-70 contribuisce alla crescita della cantina. Ad Angelo, l’attuale titolare, si deve la definitiva consacrazione. Un percorso iniziato nel 2001, anno in cui dà avvio alla trasformazione diretta delle proprie uve e alla produzione di vini Doc e Igt.
“Coniugare l’esperienza contadina e le moderne conoscenze e tecnologie enologiche” è il credo di Angelo D’Uva, condiviso dal suo giovane enologo Donato Di Tommaso. Per entrambi “un buon vino inizia da un frutto sano e la vinificazione deve essere semplice ed essenziale. Perché il vino sia una sincera e schietta espressione della sua terra”.
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Nuova edizione, stessi obiettivi di sempre. Anche nel 2017 “Enologica – Salone del vino e del prodotto tipico dell’Emilia Romagna”, unirà vino e cibo della regione con le tradizioni, la cultura e l’identità della regione del centro italia. Un “discorso corale, territoriale e popolare che identifica e rende unica l’Emilia Romagna”, assicurano gli organizzatori.
Appuntamento a Bologna, dal 18 al 20 novembre, nel centralissimo Palazzo Re Enzo, con oltre 100 tra produttori, consorzi e cantine. Sono previsti anche seminari e degustazioni tematiche, per raccontare il vino dell’Emilia Romagna, dai principali vitigni ad alcuni autoctoni tutti da scoprire.
Ci sarà inoltre il “Teatro dei Cuochi”, con gli chef che si racconteranno, anche attraverso le proprie creazioni gastronomiche in abbinamento ai vini. Inoltre, “Carta Canta”, il premio rivolto a ristoranti, enoteche, bar, agriturismi e hotel situati in Italia o all’estero, che propongono un assortimento qualificato di vini della regione. E “Panino d’Autore”, con lo chef Daniele Reponi, che realizzerà panini gourmet utilizzando esclusivamente prodotti Dop e Igp made in Emilia Romagna.
IL FORMAT
Quello di Enologica è ormai un format consolidato, frutto dell’esperienza di Enoteca Regionale Emilia Romagna, capace anche quest’anno di offrire una chiave di lettura originale dell’evento. A Enologica 2017 saranno protagoniste anche le creature fantastiche, ovvero la rappresentazione popolare della natura, delle paure, dei sogni, delle “cose inspiegabili” e familiari della storia dell’uomo, un patrimonio di storia e tradizioni tramandato oralmente fino ai tempi moderni.
Come si legge nell’introduzione del catalogo, scritta dal curatore di Enologica Giorgio Melandri: “Noi siamo per un racconto ‘quotidiano’, pieno di cose vere, di gente e storie. Il racconto del vino vive dentro alle giornate della gente e noi abbiamo il dovere di lasciarcelo. Siamo una regione dove è il quotidiano a essere straordinario, dove un fosso può nascondere una creatura fantastica, dove un albero può nascondere un segreto, dove un vino può raccontare tante storie”.
VINO E VITIGNI Ad accogliere i visitatori di Enologica 2017, sotto al loggiato d’ingresso di Palazzo Re Enzo, ci sarà un grande pannello (circa 6×4 metri) con delle originali “sculture di terra”, realizzate da I.TER di Bologna.
Si tratta di rappresentazioni artistico-scientifiche dei principali suoli che ospitano la pianta della vite in Emilia Romagna e che si trovano percorrendo la via Emilia da Sud a Nord, partendo quindi dalla provincia di Rimini per arrivare fino a quella di Piacenza (con una sola piccola deviazione nel territorio ferrarese).
Diversi tipi di terreno che corrispondono ai sette vitigni principali della regione, da dove nascono i vini a denominazione: Albana e Sangiovese per la Romagna, Pignoletto per il bolognese, Fortana per il ferrarese, Lambrusco per il modenese, il reggiano e il parmense, Malvasia per il parmense e il piacentino, Gutturnio per il piacentino.
Per ogni vitigno c’è poi la rappresentazione grafica dei profumi e dei sapori principali che connotano i vari vini (attraverso immagini di fiori, frutti, ecc.) per aiutare i visitatori nella ricerca di quelle determinate caratteristiche anche nel momento della degustazione.
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Da architetto a vignaiolo, il passo è breve. Chiedere per credere ad Antonio Cascarano, l’istrionico patron di Camerlengo. Siamo a Rapolla, in provincia di Potenza. Una corte eretta su pilastri solidi e profondi. Messi in bolla da uno che di “disegni”, evidentemente, se ne intende.
Rame e zolfo in piccole dosi per la vigna storica di Aglianico, ereditata dal nonno, a 600 metri sul livello del mare: niente inerbimento tra gli alti filari che affondano le radici nella terra vulcanica. Le varietà a bacca bianca Ciungoli, Malvasia e Santa Sofia più in basso, a 250 metri, assieme a un impianto più giovane d’Aglianico: pendenza molto accentuata e terreno più argilloso rendono necessario l’inerbimento, per evitare cedimenti dello strato limoso. Una ricetta, quella di Cascarano, raccontata con la semplicità di chi mastica vigna e ne conosce ogni millimetro.
La cantina si trova nel centro del paese di Rapolla, borgo di 4 mila anime, nel cuore enologico della Basilicata. Un edificio storico di proprietà della famiglia, recuperato da Cascarano e trasformato in una culla per i frutti dei vigneti, che qui sembrano diventare eterni.
E’ qui che il vigneron si dedica alla vinificazione, con una prima fermentazione in legno in tini troncoconici. Segue un passaggio in acciaio per almeno 2 anni, che precede la permanenza in barrique.
Una cantina d’altri tempi, semplice e silenziosa. Ben isolata dall’esterno, con un equilibrio climatico ideale per la conservazione dei nettari. Un ponte di pietra la divide come un vascello. Il trono dal quale capitan Antonio dirige la sua avventura enoica.
LA DEGUSTAZIONE Memorabile la verticale che è in grado di offrire Camerlengo, direttamente dalla botte. Si inizia da un 2016: una di quelle etichette capaci di sbugiardare i miti sull’Aglianico del Vulture, ritenuto da molti “imbevibile” nei suoi primi due anni di vita.
Invece no. Un vino caldo, con un tannino sì molto rustico, ma già molto ben addomesticato. La vendemmia 2015 mostra un’evoluzione diversa dell’Anthelio, l’Aglianico prodotto dalla vigna più giovane di Camerlengo.
Chiudiamo con un 2014, in un crescendo della percezione delle caratteristiche del suolo, unita a una percezione sulfurea e minerale. Un vino complesso, con richiami di pietra focaia.
Sul “ponte della nave”, Antonio Cascarano sfodera il jolly Accamilla, un bianco 2014 con macerazione sulle bucce di 18 giorni: blend di Malvasia, Ciunguli (varietà di Trebbiano toscano) e Santa Sofia. Tutte le varietà vendemmiate insieme, con la Malvasia a fare da indicatore per il periodo di miglior raccolta.
“Quando questa risulta pronta per la raccolta – spiega il produttore – il Ciungoli è ancora quasi acerbo, e la Santa Sofia e sovramatura. In questo vino si raggiunge un equilibrio eccellente di acidità e sentori caldi”. Una scelta enologica questa volta non sua, ma ereditata dal nonno.
Passiamo al rosato d’Agrlianico Juiell, molto piacevole. Un naso finissimo e una struttura da rosè importante. Poche bottiglie di questo prodotto unico, ottenuto dalla vigna più giovane del reame. Chiudiamo con un Aglianico Camerlengo 2001: un vino eterno, giovanissimo, nessun segno di cedimento visivo, nessun accenno al mattonato, ancora vivo e porpora.
E’ alla prova di calici come questo che l’Aglianico si attesta tra i vitigni più longevi d’italia. Un naso suadente che esprime caratteristiche vulcaniche. E una beva piacevole, asciutta, emozionale. Quella che sanno regalare solo i grandi vini.
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Ci sono sfumature capaci di rovinare un bel quadro. Un po’ come i baffi sulla Gioconda, se fossimo al Louvre. Venature dadaiste, in grado di farti andar via dall’edizione 2017 di Emilia Sur Lì – festival dei Vini emiliani rifermentati sui lieviti, con la bocca in paradiso. Ma la coscienza all’inferno.
Tanti buoni vini rifermentati e qualche eccezionale metodo classico (“outsider” solo in teoria) all’Agriturismo La Longarola di Lesignano de Bagni, poco fuori Parma, venerdì 2 giugno. Ma una “leggerezza fiscale” impressionante, con bottiglie vendute da alcuni produttori senza alcuna ricevuta. Vini liberi, insomma. Anche dal Fisco. Vini anarchici. Vini, in realtà, masochisti.
Di fatto, un vero peccato in termini di lungimiranza. Al di là degli aspetti legali della questione, non è la prima volta che assistiamo in presa diretta allo “smercio” di vino senza scontrino, a fiere ed eventi che spesso vedono protagonisti vignaioli “controcorrente”. I paladini della naturalità in vigna, in grado di concordare su rigidi disciplinari di produzione che prescindono (in positivo) dai disciplinari, scivolano (non tutti, è chiaro: ma a questo punto qualcuno isoli i furbi) sulla buccia di banana della legalità.
Un trend pericoloso, che rischia alla lunga – su scale nazionale – di non dare il giusto valore alla produzione di vino naturale. Un’evasione fiscale che fa male a un movimento, quello dei vini prodotti “secondo natura” (senza solfiti aggiunti, biologici, biodinamici…) che meriterebbe d’essere raccontato ogni giorno per l’aumento di interesse da parte del pubblico. Dati positivi a cui questo fenomeno perverso – più italiota che italiano – non può che tranciar le gambe. Perché la storia – da che mondo e mondo – si fa coi numeri. Non con le chiacchiere o le poesie su madre natura, nemica – evidentemente – più dell’industria del vino che dell’industria del denaro.
I MIGLIORI ASSAGGI
Emilia Sur Lì 2017 resta comunque, a tutti gli effetti, una manifestazione di livello nel panorama dei vini “alternativi”. Ecco i nostri migliori assaggi di vini rifermentati e sboccati, compresi alcuni “Metodo Classico” esemplari.
1) Grechetto, Azienda Agricola Gradizzolo. Sono tutti da assaggiare i Grechetto dell’Azienda Agricola Gradizzolo di Monteveglio, in provincia di Bologna. Che si tratti di “Gradizzolo” 2005, rifermentato erbaceo, balsamico, dalla chiusura speziata e lunghissima, o del Grechetto 2015 in anfora (naso splendido sull’anice), oppure del Grechetto 2012, imbottigliato a febbraio 2013 (gran pienezza e complessità, pur mantenendo una straordinaria facilità di beva) i vini di Antonio Ognibene lasciano il segno.
2) “Per Franco” e “Rosso Bergianti”, Azienda Agricola TerreVive Bergianti Vino. Qui siamo a Gargallo di Carpi, in provincia di Modena. “Per Franco” è uno spumante Metodo Classico Rosè ottenuto in purezza da uve Lambrusco della varietà Salamino. Nulla a che vedere con la media dei Lambruschi tradizionali, da cui si discosta fin dalla prima olfazione di cipria, che vira subito sulla frutta.
Uno spumante deciso, di carattere, ben retto su una schiena muscolosa. Non tanto, però, da comprometterne l’assoluta piacevolezza della beva. Rosso Bergianti è invece ottenuto con l’aggiunta di un 20% di uve Lambrusco Sorbara alla base Salamino. Un Metodo Classico giocato sull’acidità tipica, appunto, del Sorbara. Un Lambrusco da bere tutto d’un fiato.
3) Harusame, Casè… naturally wine. Alberto Anguissola tira fuori dal suo scrigno di Casal Pozzino di Travo in Val Trebbia (Piacenza), uno spumante rosato di Pinot Nero in purezza a dir poco eccezionale. Ne vanno matti in Giappone, ma anche in Italia rischia di creare dipendenza. Dopo un affinamento in acciaio per circa un anno, al vino viene aggiunto mosto fresco di Pinot Nero della vendemmia successiva, “in modo da ottenere il livello zuccherino corretto per avviare la rifermentazione in bottiglia”.
Non viene fatto uso di zuccheri industriali o lieviti selezionati per Harusame: solo madre natura per la presa di spuma. Al naso nocciola tostata, che torna prepotente in un palato a dir poco sconvolgente per l’uvaggio. Fragranza pura, soprattutto quando nel retro olfattivo fa capolino l’arachide. La frontiera naturale e dorata di un Pinot Nero, a pochi chilometri dalla sua patria d’elezione: l’Oltrepò Pavese.
4) Spumante Metodo Classico Brut Bianco Antico 2014 Vej, Podere Pradarolo. Altro assaggio sconvolgente il 100% Malvasia di Candia aromatica prodotto in località Serravalle, nel Comune di Varano dè Melegari. Siamo nella bassa Valle del Ceno, in provincia di Parma. Nove mesi complessivi di macerazione: i primi tre prevedono profondi rimontaggi, che anticipano i successivi 6 mesi a cappello sommerso. L’estrazione è totale e in bocca è evidente l’eccezionale equilibrio tra bollicina e tannino. Per la seconda fermentazione è stato utilizzato il mosto 2015.
“Facciamo tanta fatica in vigna per portare in cantina uve sane, comprese ovviamente le bucce: perché poi dovremmo gettarle via?”: il commento di Claudia Iannelli, toscana doc trapiantata in Emilia per seguire il sogno del marito Alberto Carretti, lascia pochi spazi alle interpretazioni. Un Pas Dosè sboccato alla Volé da lasciare il segno. Vej si presenta nel calice di un giallo intenso, tra la camomilla e l’ambrato. Al naso la tipicità della Malvasia di Candia, con uno spunto floreale di rosa. Al palato si fa serio, grazie all’apporto dei tannini che chiamano piatti anche importanti. Lo immaginiamo su un’anatra all’arancia. Divino.
5) Barbera 2014, Camillo Donati. Gli effetti della rifermentazione in bottiglia sono ormai pressoché svaniti nella Barbera 2014 di Camillo Donati, orgoglioso viticoltore emiliano di Barbiano, Parma. Frutta rossa deliziosa al naso, di rara pulizia (alla cieca, note che farebbero quasi pensare a un Pinot Nero altoatesino).In bocca, il residuo zuccherino non infastidisce la beva, che resta seriosa nonostante la predominanza delle note fruttate. D’obbligo lasciare respirare un po’ il vino nel calice, per assaporarne l’evoluzione all’olfatto: la frutta rossa diventa cornice di liquirizia dolce e note erbacee mediterranee. Tutto bellissimo.
6) Frisant Bianco 2016, Il Farneto. A Castellarano, provincia di Reggio Emilia, Bella interpretazione del vitigno Spergola, autoctono dell’Emilia, cui viene aggiunto un 40% di Sauvignon In degustazione la vendemmia 2016, rifermentata a maggio.Naso delicato di pera Williams e fiori bianchi freschi per questo “Frizzante” di colore giallo paglierino intenso. Inattesa un’acidità così spiccata al palato, ben equilibrata con il ritorno delicato delle note fruttate e una mineralità che chiama il sorso successivo.
7) Lambrusco dell’Emilia Igt Rosso Frizzante Secco “Al Scur”, Ferretti Vini.. Frizzanti per Natura. Ottenuto da un 90% di uvaggio composto da sette varietà di Lambrusco (Maestri, Marani, Salamino, Grasparossa, Oliva, Barghi, Foglia frastagliata) e un 10% di uva Ancellotta, altra autoctona emiliana. E’ un Lambrusco sui generis, tutt’altro che “piacione” o “femminile”.
Solo apparentemente una contraddizione, se si considera che la Ferretti Vini è oggi un’azienda a conduzione femminile, grazie all’impegno delle sorelle Elisa e Denise, che hanno saputo far tesoro degli insegnamenti del padre Sante, per 40 anni cantiniere alla Cantina Sociale di Campegine.
“Al Scur”, di fatto, è tradizione e naturalezza. Spuma corposa che tinge un calice porpora, impenetrabile. Naso di quelli che rendono giustizia ai vini naturali, grazie all’apporto di un Grasparossa audace, animale. Il tutto senza perdere finezza. Un anziano contadino con le mani sporche di terra, ma in camicia. Pronto per la messa della domenica.
8) Lambrusco dell’Emilia Igp Frizzante Rosso Secco “Ponente 270”, Podere Cipolla. Denny Bini ci manda in confusione. Tocca rileggere tre, quattro volte gli appunti prima di battere la recensione del suo Lambrusco Ponente 270, piena di ossimori: degustandolo al banco d’assaggio di Emilia Sur Lì, scriviamo prima “austero”, poi “rotondo”. Proprio così, non è un errore. Un’interpretazione esemplare di un blend di Lambrusco Salamino, Malbo Gentile, Grasparossa e Sorbara.
Un vino fresco ed equilibrato, sia al naso sia in bocca, tutto giocato su grasse note fruttate (tendenti al maturo) e su una bevibilità eccellente. Un Lambrusco semplice, ma tutt’altro che banale. Da provare, sempre in casa Podere Cipolla – Denny Bini, il Grasparossa Libeccio 225: più spigoloso e muscoloso, per via di una spalla acida ben più consistente.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Frank e Cindy ti guardano stralunati. Pesci fuor d’acqua. Con in mano un calice di vino. Vuoto. “We’re looking for american Barbera. We love american Barbera. Where is it?”. Vaglielo a spiegare, alla coppia agée d’americani in tour a Barolo, che alla rassegna di Vignaioli Corsari in programma a Castello Falletti non figurano aziende a stelle e strisce. Tradotto: scordatevi la vostra Barbera. Glielo fai capire con le buone. Mentre il discorso vira, lento come i fumi dell’alcol, verso altri lidi: “We love Barbera, and we love Donald Trump. He’s a good person. Hillary Clinton is fake. Believe in us!”. Lo faremo. Ma da domani. Oggi, piuttosto, è il giorno dei bilanci per la rassegna di vini europei organizzata dall’Associazione culturale Giulia Falletti al Castello di Barolo. Affluenza a tre zeri che soddisfa i promotori dell’evento, con i sotterranei del maniero letteralmente presi d’assalto da un pubblico eterogeneo, tra cui figurano tanti giovani.
“Siamo molto contenti di vedere volti nuovi rispetto alla scorsa edizione – commenta Marta Rinaldi – con ottocento persone ai nostri banchi d’assaggio, tra le giornate di domenica 4 e lunedì 5 dicembre. I produttori sono sempre 30, ma quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitarne di nuovi, rappresentando zone d’Europa prima non considerate. Lo spirito è rimasto lo stesso: prima di tutto l’amicizia. E poi lo scambio di esperienze tra diversi produttori. Vini Corsari non è solo un festival per un pubblico amante dei vini artigianali, ma anche un’occasione per i vignaioli di incontrarsi e scambiare parecchio, tra di loro e con il territorio del Barolo”. Una zona volutamente non rappresentata ai banchi d’assaggio, che non hanno visto intervenire nessuno dei grandi interpreti locali delle uve Nebbiolo e Barbera. “Però – sottolinea ancora Marta Rinaldi – sono molti i produttori delle Langhe che hanno partecipato alle degustazione e alle cene con i loro colleghi europei”. Una quarta edizione che ha visto la collaborazione di “amici” portoghesi e francesi, al fianco dell’Associazione culturale Giulia Falletti. E un risultato, a conti fatti, davvero prezioso per l’accuratezza della selezione di produttori intervenuti. Tutti capaci di esprimere un livello qualitativo altissimo, attraverso le loro opere: i loro vini.
LA DEGUSTAZIONE Con fatica, noi di vinialsuper proviamo a identificare qualche vino ‘sopra le righe’ degustato alla quarta edizione di Vini Corsari. Tra gli italiani, una menzione speciale per i vini rossi va di diritto a Cristiana Galasso di Feudo D’Ugni. Memorabile il suo Montepulciano d’Abruzzo 2013 “Rudero”, ottenuto da vendemmia tardiva. Vino rosso da tavola, di quelli che si scordano i Consorzi delle Doc. Troppo bello per essere vero il frutto rosso che si materializza al naso, sotto forma di sublime confettura. Una concentrazione e una carica gusto olfattiva di rara bellezza, per un vino capace di accompagnare piatti della tradizione abruzzese, tanto quanto non sfigurerebbe in un ristorante stellato di qualsiasi capitale del mondo.
Ma Cristiana Galasso di professione fa la “vignaiola fiammiferaia”. E se le fai i complimenti, arrossisce. Del Montepulciano d’Abruzzo 2013 ne ha prodotte solo 300 bottiglie. In ognuna deve averci lasciato un pezzo del cuore umile sfoggiato a Barolo. Bottiglia dal valore inestimabile. Da amare, sorso dopo sorso. Così come splendido è il Cerasuolo da uve Montepulciano rimaste poche ore a contatto con le bucce e vinificato in cemento e acciaio. Imbottigliamento dopo 15 mesi, con un pizzico di solforosa.
Un rosato indimenticabile, per struttura e intensità. Capace, al contempo, di assicurare la beva leggera, estiva, caratteristica delle vinificazioni in bianco. Tra gli altri rossi a Barolo, una menzione speciale va all’intera elegante produzione della Tenuta di Valgiano, Lucca, che con Moreno Petrini ha portato in degustazione gli ottimi “Tenuta di Valgiano Rosso” 2013 e 2011 e, soprattutto, “Palistorti” 2012.
Dall’altra parte della sala degustazioni allestita a Castello Falletti, ecco il nostro eroe dei vini bianchi italiani presenti in rassegna. E’ Patrick Uccelli di Tenuta Dornach, Salorno (Bolzano), Alto Adige. Uno capace di mettere il punto sul Gewurztraminer con il suo “G.”, vendemmia 2015. Nel senso che ti manda a capo, tanto è in grado di spiazzarti in un gioco quasi diabolico tra un naso più che convenzionale (ma curioso) dominato dal litchi e un palato dirompente, persistente, di sorprendente tannicità verde. Quel colore rosato, dovuto al contatto di un mese con le bucce dello splendido uvaggio autoctono altoatesino, non poteva che portare a tale conclusione. Ma te ne rendi conto troppo tardi. Proprio per colpa di quell’olfatto così convenzionale. Poi la bocca ti frega. E sono pernacchie che ti ricorderai a lungo.
Tre ettari e mezzo che nel 2017 diventeranno 4,5, per Tenuta Dornach. E una filosofia spiegata con chiarezza dal quell’eterno Peter Pan che sembra essere il 42enne Patrick Uccelli, vignaiolo giocoliere. “Io e la mia famiglia produciamo tutto in biodinamico dal 2009 e speriamo che un giorno tutto il mondo del vino operi in questo regime. Ma il cambiamento è assurdo pensarlo in tempo reale. Sarebbe arrogante. Ci vuole pazienza, è inutile forzare le tappe”.
A pari merito con Dornach, impossibile, tra i vini bianchi italiani, non citare l’intera produzione de La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa, realtà che opera in Friuli Venezia Giulia. Più esattamente a Oslavia, Gorizia. Tutti vini importanti, da aspettare, quelli presenti al banco degustazione corsaro. Il Collio Doc 2010 Bianco della Castellada è sublime. Ottenuto da un 50% Pinot Grigio, un 30% Chardonnay e un 20% Sauvignon da vigne di età compresa tra i 20 e 50 anni, pare una caramellina al palato. Per poi accendersi d’improvviso, come il fuoco su un terreno impregnato di benzina, svelandosi caldo, strutturato, poderoso. E dotato di un finale senza fine. Il Pinot Grigio, come spiega al banco di degustazione il preparatissimo Stefano Bensa, viene colto e subito pressato. Il mosto viene fatto dunque fermentare in barrique, con lieviti indigeni. Chardonnay e Sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni.
Poi vengono travasati in barrique per completare la fermentazione. Seguono 11 mesi in barrique e 12 mesi in vasca d’acciaio inox di affinamento, più ulteriori 12 mesi in bottiglia, senza filtrazione. Sontuoso il Collio Doc Bianco Riserva 2006 “Vrh”: un blend ottenuto al 75% da Chardonnay, cui viene sommato un 25% Sauvignon di vigne di 45 anni di marna Eocenica. I grappoli vengono diraspati e il pigiato posto a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia, per 2 mesi. Fermentazione alcoolica e malolattica a contatto con le bucce. Seguono 36 mesi in botte grande di rovere di Slavonia, 12 mesi in vasca d’acciaio inox. In bottiglia senza filtrazione, esprime un 14,5% di alcol in volume. Dieci ettari di vigneto per La Castellada nel goriziano, per un totale di 25-30 mila bottiglie prodotte annualmente. Azienda tutta da scoprire e da amare al primo sorso.
Rimaniamo in Italia per segnalare altri due bianchi coraggiosi. Il Liguria di Levante Igt “Poggi Alti” 2015 dell’Azienda Agricola Santa Caterina di Sarzana è un vino di grande prospettiva, capace di far tornare alla mente i grandi bianchi liguri di quel genio anarchico di Fausto De Andreis, one man company di Rocche del Gatto. “Fermentazione in tini aperti d’acciaio e maturazione in gres”, spiega Andrea Kihlgren, che così mira a preservare e valorizzare i varietali del Vermentino. “Facevo altro nella vita – continua il vignaiolo dal cognome svedese, tramandato dal padre – ma quando ho deciso di dedicarmi a tutto tondo al vino ho capito subito che una via ‘tiepida’ non faceva per me. Questo è un lavoro che bisogna sentire dentro e che fa fatto con coscienza, oppure bisognerebbe fare altro”. Un degno compagno di De Andreis, insomma. Dentro e fuori dal calice. Ad accomunarli, ovviamente, anche i problemi con il Consorzio per il riconoscimento di una Denominazione d’origine controllata a cui, entrambi, hanno ormai rinunciato su parte della produzione.
Merita un plauso, infine, il coraggio di Les Petits Riens di Regione Chabloz, Aosta, piccola realtà a metà tra Morgex e Saint Vincent. L’unica ad allevare, nell’intera Valle d’Aosta, l’Erbaluce di Caluso. Nasce così Petit Bout De Lun 2014, un bianco curioso, la cui vinificazione avviene all’80% in acciaio e al 20% in barrique, dove resterà a maturare 15 mesi, prima dell’imbottigliamento. Un vitigno, l’Erbaluce, scelto per conferire acidità a uno Chardonnay altrimenti stanco. Altra curiosità: i vini de Les Petits Riens sono tutti turati con il sughero, ricoperto da cera d’api. Un altro modo per sottolineare il profondo legame del vino con il territorio d’origine.
Tra le bollicine presenti a Vini Corsari 2016, non poteva che spuntarla il sontuoso Franciacorta Docg Pas Dosé 2011 “Il Contestatore” dell’Azienda Agricola Il Pendio di Michele Loda (Monticelli Brusati, Brescia). Un Metodo Classico ottenuto in purezza da uve Chardonnay, provenienti dai gradoni più alti della vigna. Capace di surclassare l’unica maison di Champagne presente ai banchi di degustazione, La Closerie, con il solo “Le Beguines” (prezzo tra gli 80 e i 90 euro) a discostarsi da una produzione fin troppo piaciona e commerciale, fondata sul Pinot Meunier.
GLI STRANIERI C’è una cantina che più delle altre ha saputo convincere tra i Corsari 2016. L’avreste mai immaginato? Proviene dalla Svizzera. Più esattamente dal Vallese. Quel Valais che, in estate, vi abbiamo raccontato in lungo e in largo (vedi qui). Dimenticandoci, però, di uno come Olivier Pittet di Fully (d’altronde, con centosessantadue vini degustati in diciotto differenti cantine, poste su un percorso di circa 250 chilometri, siamo sicuri potrete perdonarci). Il Fendant 2014 di Pittet è divino. Si scosta dalla semplicità intrinseca del vitigno Chasselas, per assumere al naso sentori complessi, che segnano tutta l’esperienza olfattiva con Pittet: quelli vegetali, erbacei, in bilico tra l’erba fresca e il fieno, tra i fiori e le aromatiche alpine, sino alla camomilla secca.
Note che nel Petit Arvine 2014 diventano quasi piccanti, con il peperone giallo a verde a spuntare nel mucchio composto di sentori delicati. Una caratteristica che, qui, ritroveremo anche in bocca. Chimere 2014 è il più gastronomico dei vini di Olivier Pittet, quello di più facile abbinamento in cucina. A.R.H. 2014 è invece il sorprendente blend tra Petite Arvine (50%) e un clone sconosciuto derivante da un incrocio di quattro vitigni, tra cui l’autoctono Rèze (Resi) e l’Humagne Blanc: un vino dal residuo zuccherino elevato (12 g/l).
Per completezza e qualità nella produzione non può essere dimenticato anche Aleks Klinec, vignaiolo bio del Collio sloveno, impiantato a Medana. Il fil rouge che lega i vini è quello di una consistente sapidità, quasi croccante, da mordere. Ma a convincere più di tutti – per presente e prospettive future – è Jakot 2012, ottenuto da fermentazione spontanea con quattro giorni di contatto con le bucce delle omonime uve, dimenticate per 3 anni in botti di acacia. Tipico colore aranciato e grande intensità e finezza olfattiva, che richiama fiori e frutta esotica matura. Un naso suadente, che al palato rompe gli indugi sfoderando muscoli d’acciaio: di alcolicità calda, almeno al percepito, controbilanciata alla perfezione da una freschezza e da una sapidità invidiabili. Vino che stupisce, appunto, per il suo grande equilibrio.
Ottima anche la Malvazia Istriana 2012 di Klinec, più profonda al palato rispetto a Jakot, per la presenza di un’acidità ancora più spinta e un tannino astringente. In Gardelin 2012 è ancora più marcata la vena sapida, evidentemente per l’assenza dei tannini in un uvaggio come il Pinot Grigio. La Ribolla 2012 (14 giorni di macerazione e 3 anni in botte per estrarre al meglio le proprietà di un’uva dalla buccia spessa come l’orgoglio del popolo sloveno) è un altro luminoso esempio della grandezza dei vini della vicina Slovenia. Infine, ma non ultima, la Riserva 2006 Klinec con base Verduzzo Friulano, in blend con Ribolla, Malvasia e Tocai. Un Barolo bianco, potremmo azzardare. Estratto secco che pesa come un macigno, sulla lingua. E 14,9% di alcol in volume a completare il quadro. Chapeau.
Segnaliamo, tra gli altri, anche la cantina portoghese Encosta da Quinta, 80 chilometri a nord di Lisbona. Vino di facile beva ma di cui non ci si dimentica affatto il bianco Humus 2015, proposto in degustazione dal timido Rodrigo Filipe. Un blend ottenuto dai vitigni autoctoni del Portogallo Arinto e Fernao Pires. A chiudere la rassegna dei migliori vini degustati tra i Corsari 2016 anche lo Chardonnay du Hasard, Vin de Voile di Domaine Labet, Jura, Francia. Un bianco unico, in cui alle note ossidative fanno da contraltare sorprendenti note fruttate fresche. Spazio anche per un vino a prezzi pazzi: il blend di Trebbiano e Trebbiano di Spagna di Vittorio Graziano (Castelvetro di Modena): 13 euro per un’esperienza sensoriale giocata sul filo sottile dell’equilibrio tra le note macerative e quelle fruttate mature.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La stagione estiva 2016 in Sicilia è stata finora caratterizzata da un clima mite, intervallato da poche perturbazioni e senza picchi eccessivi di calore. Dopo un inverno caratterizzato da scarse precipitazioni, la stagione primaverile è iniziata con temperature mediamente fresche, anche durante la fioritura, e si è chiusa con alcune precipitazioni nei mesi di maggio e giugno. Questo quadro meteo-climatico ha favorito un discreto andamento delle fasi fenologiche dei vigneti dell’isola. Un percorso sostanzialmente regolare con le uve che sono arrivate all’inizio dell’invaiatura in salute, grazie all’attenzione e alla cura costante dei vigneti.
“Più o meno siamo in linea con l’anno scorso, le produzioni sembrano promettere bene in tutte le aree di produzione” – afferma Alberto Tasca, consigliere del Consorzio che opera al centro geografico del triangolo siciliano. “Nella zona di Palermo, siamo in linea con l’anno precedente – dice – bene per il Grillo nella zona di Monreale, dalla Malvasia ci aspettiamo qualcosa in meno in termini di produzione, ancorché tutte le uve siano molto sane e con trattamenti ridotti al minimo”.
L’annata 2016 si preannuncia buona anche per l’area di Menfi, Salvatore Li Petri, vicepresidente del Consorzio riferisce che l’evoluzione climatica invernale e primaverile non ha fatto registrare problemi con la fase vegetativa, al contrario “le piogge tardive – precisa – hanno aiutato senza arrecare danni, consentendo al vigneto di approvvigionarsi di un’ulteriore riserva idrica che ha mantenuto l’equilibrio vegetativo delle piante e il vigneto in stato ottimale. Attualmente fa caldo di giorno e la sera termina con una escursione di almeno 10 gradi: per il vigneto è la condizione più favorevole. L’anno scorso abbiamo iniziato la vendemmia il 27 luglio con il Pinot Grigio, quest’anno un giorno dopo, il 28 luglio.”
Nel ragusano, la stagione è stata molto più secca rispetto agli anni scorsi, le vigne sono in ottimo stato ma ci potrebbe essere un anticipo. “molto probabilmente l’annata si presenta favorevole, ma meglio aspettare a pronunciarsi” – annuncia Francesco Ferreri consigliere.
La provincia di Trapani, la più vitata dell’isola, rispetto al 2015 ha registrato il 40% in meno di pioggia nel periodo invernale, mentre nel mese di maggio si sono registrate precipitazioni che hanno apportato all’incirca 80-90 mm d’acqua. “Ciò ha sicuramente agevolato la fase vegetativa – spiega Filippo Paladino vicepresidente del Consorzio – la situazione fitosanitaria è sotto controllo, grazie al costante impegno dei viticoltori nel controllo dei vigneti, probabilmente la produzione sarà meno importante dell’anno scorso in termini quantitativi, ma di sicuro avremo vini di buona qualità”.
“L’annata 2016 sarà probabilmente caratterizzata da un sensibile incremento della qualità e da una produzione inferiore di circa il 10% rispetto all’ultima vendemmia.
Il periodo di raccolta mediamente tardivo, sia per il Grillo che per il Nero d’Avola, permetterà di godere delle fresche temperature settembrine che aiutano a mantenere ed esaltare fragranza e aromaticità nelle uve. – sottolinea Antonio Rallo, presidente del Consorzio e conclude – Il focus di produzione e comunicazione su queste due varietà autoctone proseguirà anche nella campagna viticola 2016. Sempre più consorziati stanno investendo risorse su queste due vitigni che sono oggi i migliori ambasciatori del valore della produzione Sicilia DOC nel mondo.”
Le differenze tra le varie zone confermano il carattere peculiare del vigneto siciliano che qualifica la più grande isola del Mediterraneo come un continente vitivinicolo. Più di 100.000 gli ettari vitati e quasi 100 giorni di vendemmia. I vigneti si estendono su zone che variano da 0 a più di 1000 metri di altitudine sul livello del mare, con differenze di clima e terroir che regalano alla Sicilia la vendemmia più lunga d’Europa e vini di un’incredibile modernità.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Si è svolta a Chengdu, in Cina, l’International Wine and Spirit Show, il ”Fuorisalone” del ”China Food and Drinks Fair for Wine and Spirit”, uno degli eventi più rilevanti del comparto vitivinicolo cinese che ogni anno attrae circa 4mila espositori e oltre 400mila visitatori. Tra le aziende italiane partecipanti, le Cantine di Vicobarone, rappresentate da Fabrizio Malvicini, che da 5 anni sono protagoniste delle esportazioni verso la Cina. Nel 2015 hanno registrato 1,2 milioni di euro di fatturato che hanno spinto le Cantine Vicobarone a siglare una partnership con Long Vision, il più grande importatore di vino italiano in Cina. ”Le Cantine di Vicobarone hanno inteso un messaggio decisivo quello dell’importanza di esportare per dare valore alle cooperative stesse. Le cooperative devono unire le forze per esportare il prodotto e dare valore ai soci” ha affermato Malvicini. La fiera è stata anche occasione di dialogo con Carlo Piccinini, neo presidente eletto a gennaio 2016 di Fedagri Emilia Romagna e Confcooperative Modena nonché imprenditore agricolo e vicepresidente della Cantina Carpi Sorbara. Un confronto proficuo tra due realtà cooperative importanti secondo Malvicini che ritiene importante la collaborazione tra cantine, anche di province limitrofe, al fine di sviluppare sinergie di crescita.
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(2 / 5) Particolare, certamente. Entusiasmante, un po’ meno. In sintesi ecco presentato il Malvasia fermo 2013 dell’azienda agricola La Ciocca di Carpaneto piacentino (PC). Una bottiglia ‘comparsa’ di recente tra gli scaffali della grande distribuzione organizzata, che merita certamente un assaggio. Soprattutto perché un uvaggio simile è difficile da reperire nei supermercati nella versione “ferma”. Di colore giallo carico, questa Malvasia di Candia si presenta al naso nella migliore delle attese: grassa, aromatica, generosa. I sentori sono quelli di albicocca e mandorla. Al palato, le sensazioni olfattive lasciano spazio a un’inaspettata ‘piattezza’. Così, tutte le scalpitanti attese offerte dal ricchissimo quadro olfattivo cadono in frantumi. L’assaggio di Malvasia fermo 2013 La Ciocca si si fa apprezzare limitatamente alla buona acidità e al finale di nocciola, piuttosto persistente. L’abbinamento più scontato è quello con risotti alle verdure, nonché alle vellutate (ottimo con quella di patate o asparagi). Buono anche per accompagnare il dolce o la frutta.
L’azienda agricola La Ciocca, che produce questo particolare Malvasia fermo, opera nel pieno della Doc dei Colli Piacentini, a Ciriano di Carpaneto piacentino (PC) per l’appunto. Produce vini direttamente dalle proprie vigne, “con basse rese per garantirne la qualità”.
Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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(3,5 / 5)Avete presente i messaggi arrotolati in una bottiglia e lasciati da qualcuno in balia del mare, fino ad essere scoperti e letti su una spiaggia, magari dall’altra parte del mondo e a distanza di diversi anni? Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Falesco è un po’ anche questo. Una bottiglia che racchiude una storia. In stato liquido, sì. Ma pur sempre una storia. Una di quelle che ti portano indietro negli anni. Al tempo dei re e dei cavalieri, dei papi e dei loro servitori. Correva l’anno 1111 quando il vescovo Johannes Defuk, al seguito dell’esercito di Enrico V di Franconia, percorreva la strada che dall’Europa centrale portava a Roma, dove il condottiero tedesco doveva incontrare papa Pasquale II, per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. Il vescovo, grande appassionato di vini, desideroso di scoprire nuovi sapori, aveva incaricato il suo coppiere – un funzionario di alto rango – di precederlo sulla via per Roma, degustando per lui il vino nelle varie osterie. Qualora il vino fosse stato buono, il coppiere avrebbe dovuto scrivere fuori dalla locanda la parola “Est!”, ovvero “c’è!”. Se il vino fosse stato ancora più buono, la formula sarebbe stata “Est! Est!!”. Il servitore riempì le porte delle locande con le due formule, ma solo a Montefiascone – alle porte di Roma – scrisse quello che il vescovo sperava di trovare: “Est! Est!! Est!!!”. Ovvero: qui “c’è vino eccellente!”. Narra la leggenda che il vescovo, condividendo il parere del coppiere, volle trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Montefiascone, dove morì – si narra – in seguito a un coma etilico. E a Montefiascone fu seppellito, nella chiesa di San Flaviano. Sulla lapide si legge l’incisione: “Per il troppo Est! Qui giace morto il mio signore Johannes Defuk”. Leggende a parte, il “Falesco”, così come viene rinominato Est! Est!! Est!!!, è un prodotto che merita la fama guadagnata grazie a questa leggenda, al di là del marketing correlato. Si tratta di una denominazione di origine protetta di Viterbo e provincia, nell’alta Tuscia, nei Comuni di Comuni di Montefiascone, Bolsena, San Lorenzo Nuovo, Grotte di Castro e Gradoli.
E grazie al sapiente mixaggio di uve Trebbiano (50%), Malvasia (20%) e Roscetto (20%), cresciute a un’altezza di 300 metri sul livello del mare. Sotto la lente di vinialsupermercato.it, l’annata 2014. Di colore giallo paglierino brillante, Est! Est!! Est!!! di Montefiascone si presenta al naso molto vinoso, con richiami fortemente e piacevolmente aromatici. All’assaggio emergono note fruttate ben equilibrate, che si sposano con l’ottima acidità e sapidità. Fondamentale, in questo senso, l’apporto aromatico-esotico dell’uvaggio Roscetto, che ammorbidisce e ingentilisce il palato assieme alla Malvasia. Un vino da servire una temperatura non superiore ai 12 gradi, che può fungere da eccellente aperitivo ma che è in grado di accompagnare egregiamente anche piatti di verdure cotte e pesce.
Entrando più nello specifico, Est! Est!! Est!!! di Montefiascone si ottiene da viti con un’età media di 18 anni. La fermentazione avviene in botti di acciaio Inox, a una temperatura di 18 gradi, con l’aggiunta di lieviti indigeni. Viene saltato il passaggio della fermentazione malolattica, in favore del successivo affinamento in bottiglia. Falesco è il marchio della famiglia Cotarella, fondato negli anni Sessanta, “quando Antonio e Domenico Cotarella – si evince sul sito aziendale – viticoltori in Monterubiaglio, hanno realizzato la prima cantina per la produzione in proprio di vino. I fratelli Renzo e Riccardo Cotarella, entrambi enologi cresciuti in una terra di lunghe tradizioni vinicole, spinti dalla passione del padre Domenico, hanno poi fondato nel 1979 l’attuale Falesco, trasformando quella che era una piccola azienda familiare in un’impresa di successo da lasciare alle generazioni successive”. “Gli investimenti effettuati da allora – continua la nota di Falesco – sono stati indubbiamente di grande entità, ma oggi, a distanza di oltre trent’anni, possono considerarsi ampiamente ripagati, soprattutto in termini affettivi. Nell’azienda di famiglia, infatti, lavorano attualmente le figlie Dominga, Marta ed Enrica, riversandovi lo stesso entusiasmo e coinvolgimento dei loro padri. La quarta generazione di nipoti, poi, lascia intravedere un futuro altrettanto importante per il marchio”.
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