Sulla dignità del Locorotondo: dal fallimento alla riscossa con “Lady C”

AAA cercasi make up artist per la Doc Locorotondo: richiesta esperienza pregressa nel settore. Con la cantina sociale in (s)vendita a 4 milioni di euro, dopo uno sciagurato fallimento (pre)annunciato da anni di mancati pagamenti ai conferitori d’uva, in Puglia, c’è chi prova a voltare pagina.

Niente capitali in arrivo dall’estero. Niente joint venture dal sapore mediorientale. La riscossa del Locorotondo prende forma dal cuore della cittadina della provincia di Bari. Più esattamente, dall’altra parte dei binari delle Ferrovie del Sud Est, su cui si affaccia l’immobile – ormai spettrale – della cantina sociale.

A guidare i produttori della Dop verso il rilancio è Marianna Cardone, che con il fratello Vito conduce l’azienda di famiglia, fondata negli anni 70 dal nonno Giuseppe e dal padre Franco. Siamo in via Martiri della Libertà 32, alla Cardone Vini Classici Srl. Duecento metri, in linea d’aria, dal palazzo dello scandalo.

Che “Lady Cardone” abbia preso sul serio la sfida, lo capisci già dalla stretta di mano. Una donna del vino che, per certi versi – carattere, ma anche aspetto fisico – ricorda un’altra vignaiola guerriera: la siciliana Marilena Barbera. Territori e storie diverse, le loro. Ad accomunarle la bellezza lucente della determinazione, negli occhi.

“Come in tutte le migliori storie di vita vissuta – evidenzia Marianna Cardone – ci sono dei momenti di cambiamento. Per il Locorotondo, la chiave di volta è arrivata con la chiusura della cantina sociale di Locorotondo. Negli anni 70, questo vino ha rappresentato per la Puglia l’unico diamante tra i bianchi della regione. Non a caso, questa è la seconda Doc per storicità dopo il Primitivo di Manduria. Ma proprio nel momento in cui il Locorotondo avrebbe dovuto traghettare la Puglia del vino fuori dalle logiche dello sfuso e delle vendita delle masse ad altre regioni, in molti hanno cominciato a sposare la causa della quantità, a dispetto della qualità. All’epoca, chi produceva milioni di bottiglie poteva aspirare a tutto, tranne che al blend originario composto da 50% Verdeca, 45% di Bianco D’Alessano e 5% di uvaggi come il Fiano o Maruggio. In bottiglia si metteva altro, che veniva spacciato per Locorotondo”.

E così che il bianco della Valle d’Itria si guadagna la cattiva fama di “vino del mal di testa”. “La qualità cadde a picco – ricorda Marianna Cardone – e Locorotondo divenne sinonimo di scarsa qualità. Un boomerang negativo che ricadeva anche su produttori come noi, che hanno sempre prodotto nel rispetto del disciplinare e del consumatore. Il vino bandiera della nostra cantina aveva perso completamente appeal“.

Poi, la svolta. “Da circa due, tre anni – commenta Cardone – a ricordarsi della cattiva fama del Locorotondo sono in pochi. Le nuove generazioni, in Italia, neppure sanno che esiste questo vino. All’estero, al contrario, hanno iniziato ad apprezzarlo. Questo blend tra vitigni che sintetizzano alla perfezione la Puglia del vino bianco, del resto, è marcatamente internazionale. Una spinta locale per il rilancio del Locorotondo è invece quella del turismo in Valle d’Itria. Un turismo di altissimo livello, fatto di consumatori curiosi e preparati, si sta avvicinando a questo vino riconoscendogli il valore che merita”.

Per Marianna Cardone, “questi sono gli anni zero del Locorotondo. E’ tutto da ricostruire da capo”. E un campo importante in cui si gioca la partita è quello della Grande distribuzione. “E’ improrante che anche la ‘signora Maria’ possa apprezzare un buon Locorotondo al giusto prezzo – evidenzia Marianna Cardone – ed è per questo che abbiamo pensato a una linea Iside Fine Wine, destinata esclusivamente ai supermercati Coop”. A ottobre il possibile sbarco in Auchan.

Lievissima la differenza tra il Locorotondo Iside e il Locorotondo Castillo, destinato invece al canale Horeca. Ad oggi, delle 20 mila bottiglie di Cardone Vini che finiscono sugli scaffali del supermercato, la metà sono del vino simbolo della cantina.

“Il prezzo di 6,99 euro – precisa Lady C – è comunque medio-alto per i vini bianchi Coop. L’obiettivo della nostra cantina, di fatto, è quello di restituire dignità non solo alla Dop Locorotondo, ma anche a tutti i produttori traditi negli anni scorsi dalla cantina sociale. Come? Pagando le loro uve al giusto prezzo: gli attuali 35 euro a quintale sono una cifra troppo bassa. Questo favorirebbe a sua volta il ritorno alla viticoltura in Valle d’Itria, dove il 70% dei vigneti è andato perduto”.

GLI ALTRI PRODUTTORI
Con le sue 300 mila bottiglie totali, la Cardone Vini Classici costituisce una realtà molto importante per il tessuto sociale locale. Ma a sostenere la battaglia per il rilancio del Locorotondo concorrono anche altre cantine. Una di queste è Albea, ad Alberobello.

La cantina di via Due Macelli 8 produce il Locorotondo più costoso sul mercato: il “Il Selva”, in vendita al pubblico a 10 euro. “Un progetto – spiega Tommaso Marangi di Albea – portato avanti dal 2001 e volto alla valorizzazione di una denominazione purtroppo maltrattata. Nel 2016 l’idea di produrre un Locorotondo leggermente più morbido rispetto alle altre annate, ma che conservi comunque le grandi peculiarità del blend”.

La Verdeca resta la componente predominante, con un 35% di Bianco d’Alessano e un 15% di Fiano. La componente aromatica del Minutolo si fa sentire nel calice, così come la scelta di raccogliere le uve in leggera surmaturazione. Il risultato è un Locorotondo tagliente, dalla spiccata acidità e mineralità, ben bilanciate dalla morbidezza delle note fruttate esotiche e da un’alcolicità calda. “Andare a proporre all’estero un Locorotondo a 10 euro – spiega ancora Marangi – non è facile. La media che si aspettano i buyer si aggira attorno ai 2,80 euro. Dubbi che vengono fugati dalla degustazione del nostro Selva: un Locorotondo davvero sui generis“.

Sempre in Valle d’Itria, più esattamente a Castellana Grotte, c’è poi chi punta su un Locorotondo Superiore. E’ la cantina Terre Carsiche 1939. A giustificare tale menzione in etichetta sono soprattutto rese più basse in vigna. “Il disciplinare – spiega il titolare Andrea Insalata – prevede per il Locorotondo Doc una resa per ettaro fino a 140 quintali. Per il Superiore scendiamo invece a 90. Ogni singola pianta, dunque, può produrre 3-4 chili di uva, al posto di 6: ne consegue una maggiore qualità, che poi si traduce nel calice in maggiore ricchezza organolettica”.

L’etichetta di Terre Carsiche è Padre Abate: altro calice che merita la riscoperta e la valorizzazione di questo blend pugliese. “La grande fortuna della Valle d’Itria – aggiunge Insalata – sono gli sbalzi termici tra il giorno e la notte, che consentono la produzione di grandi bianchi come il Locorotondo: un vino che per i suoi profumi e per la mineralità che esprime, merita di affermarsi sempre più, a dispetto di una storia che non sempre gli ha reso il giusto merito”. Insomma: il rilancio della Dop Locorotondo è in buone mani.

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