Gerry Scotti e Cantine Giorgi: altra beffa all’Antritrust a Chi Vuol Essere Milionario

cosa si nasconde dietro a questo spasmodico bisogno di pubblicità occulta? che fine ha fatto l’antitrust?


Gerry Scotti
 ci ricasca. E questa volta calca la mano, come non mai. Nuova sfacciata pubblicità ai vini di Cantine Giorgi a Chi Vuol Essere Milionario. Il conduttore fa chiaro riferimento ai vini dell’Oltrepò pavese di cui è testimonial. Nel mirino la puntata di venerdì 1 febbraio.

Grande sfacciataggine anche da parte di Cantine Giorgi, che pubblica sul profilo Facebook il video della trasmissione. Con un commento che non lascia spazio a interpretazioni: “A Chi Vuol Essere Milionario si parla del nostro Oltrepò Pavese e del mitico Pinot Nero! Grazie Gerry, sei un vero grande testimonial!”.

Eppure, in Oltrepò, c’è chi continua a pensare che il conduttore possa portare visibilità all’intero territorio. Non a caso, Scotti è stato di recente nominato cittadino onorario di Canneto Pavese (PV), Comune dove ha sede proprio Cantine Giorgi.

Nel dettaglio, è proprio Gerry (come dimostra il video della puntata, che pubblichiamo sotto) a spostare l’attenzione degli spettatori di Chi Vuol Essere Milionario dall’Oltrepò (inteso come “territorio”) ai vini di Cantine Giorgi che in etichetta riportano il suo viso.

“Allora hai assaggiato i miei vini? Avete capito perché lo ho invitato? solo per parlare bene dei miei vini”. Una beffa bella e buona all’Antitrust, che tra i suoi compiti ha il “contrasto alle pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori e delle microimprese”, oltre alla “tutela delle imprese dalla pubblicità ingannevole e comparativa“.

https://www.facebook.com/cantinegiorgi/videos/2053988371570220/

 

Come recita il vademecum dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, “sono incluse nella nozione di pubblicità quelle forme di comunicazione che, anche se non tendono immediatamente a spingere all’acquisto di beni o servizi, promuovono comunque l’immagine dell’impresa presso il pubblico dei consumatori. La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”.

La pubblicità – continua l’Agcm – può trarre un indebito vantaggio se si ‘traveste’ da qualcos’altro. Infatti, se pensiamo che quella che stiamo osservando sia informazione o spettacolo, quindi una comunicazione neutrale o comunque non finalizzata a stimolare l’acquisto di prodotti, saremo molto più portati a credere che ciò che ci viene detto sia vero o che almeno sia detto in modo disinteressato”.

“La stessa considerazione vale anche per il comunicatore del messaggio. Il giornalista che fornisce informazione, o il protagonista di uno spettacolo, non deve, o non dovrebbe, perseguire gli interessi economici di alcuna impresa, mentre svolge il suo specifico lavoro. Il comunicatore pubblicitario è invece, in qualche modo, il portavoce dell’impresa che lo retribuisce”.

Ma il passaggio più interessante è quello che segue: “Questi ruoli devono restare ben distinti, ma non sempre ciò accade. Può darsi che quello che si presenta come un imparziale professionista stia in realtà facendo pubblicità senza dichiararlo esplicitamente“.

LE REGOLE SONO CHIARE, EPPURE…
Sempre dal vademecum Agcm: “Come si è visto, non vi è nulla da obiettare, almeno dal punto di vista dell’ingannevolezza, se un personaggio famoso fa da testimonial per una impresa: la pubblicità è ormai entrata nel costume. È grave però se il consumatore non viene avvertito, da elementi che lo segnalano con evidenza, che quello che gli giunge è un messaggio pubblicitario”.

Per questo motivo gli stacchi pubblicitari al cinema, alla radio o in televisione sono introdotti da un’apposita sigletta musicale, oppure riportano l’indicazione ‘pubblicità’, ‘messaggio promozionale’. Ciò risponde a un generale obbligo di evidenziare in maniera trasparente quando lo scopo della comunicazione è pubblicitario e non informativo”.

Proprio sul rispetto di quest’obbligo verte il controllo sulla trasparenza della pubblicità esercitato dall’Autorità garante. “Un’altra forma insidiosa di pubblicità non trasparente – conclude l’Agcm – è quella che, in termini tecnici, viene chiamata product placement. Consiste nello sfruttare l’immagine insistita o la ripetuta citazione di un prodotto o di un marchio, senza un particolare motivo, durante una trasmissione o un film che non ha scopi pubblicitari”. Chi ha ancora dubbi sul caso Gerry Scotti – Cantine Giorgi alzi la mano.

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