Nikka Distillery: il whisky giapponese in cinque mosse

“Dicono che il Giappone è nato da una spada. Dicono che gli antichi Dei hanno immerso una lama di corallo nell’oceano e che, al momento di estrarla, quattro gocce perfette siano cadute nel mare e che quelle gocce sono diventate le isole del Giappone”. Chi ha visto “L’ultimo samurai” ricorderà certamente questo passaggio.

Oggi sappiamo che non è così. Sappiamo che oltre alle quattro isole principali, l’arcipelago giapponese conta altre 6.578 isole. Sappiamo che le isole non son fatte di corallo, ma sono il frutto di centinaia di migliaia di anni di attività vulcanica e movimenti oceanici dovuti all’incontro di tre placche tettoniche (hai voglia che terroir!).

Sappiamo che il 73% del territorio non è ospitale e disabitato. Ma c’è qualcosa in questa leggenda che ci dice molto sulla mentalità giapponese, sul suo approccio al bello, sulla sua ricerca continua della perfezione in ogni campo. E tutto questo lo ritroviamo anche in un prodotto che, a prima vista, non ha nulla di giapponese: il Whisky.

UN MOVIMENTO IN CRESCITA
Per conoscere meglio la storia, le tipologie, i profumi ed i sapori del distillato nipponico, il Milano Whisky Festival ha organizzato lo scorso 9 maggio, presso il Bao Bab Caffè di via Pietrasanta 14, una serata di degustazione di ben 5 Japanese Whiskies della distilleria Nikka. A guidare la serata e la degustazione Sayumi Oyama, la brand ambassador per l’Europa della Nikka Distillery.

Sayumi, nel suo inglese dalla tipica cadenza nipponica, ci interroga subito chiedendoci se sappiamo quante distillerie attive ci sono in Giappone. Restiamo tutti attoniti quando scopriamo che sono ben 15, moltissime delle quali sono micro distillerie artigianali, di cui ben 5 ancora non commercializzano perché in fase di rodaggio, le altre sono riconducibili ai 2 grandi gruppi Nipponici del beverage: Santoy e, appunto, Nikka.

LA DEGUSTAZIONEI bicchieri sono già pronti davanti a noi, ma Sayumi ci ferma. A dispetto delle regole di degustazione “verticale”, la brand ambassador ci fa invertire i primi due Whisky. Così, dice, capiremo meglio. Ne degusteremo cinque, in totale. In un crescendo di emozioni.

Partiamo quindi dal secondo prodotto: Nikka Coffey Malt 45%. È ottenuto da un blend di diversi malti prodotti utilizzando la colonna Coffey acquistata dal nel 1961 (per la distillazione in continuo) ed invecchiati minimo 6 anni (è giusto dire che in Giappone il disciplinare non prevede un periodo minimo di invecchiamento come invece avviene in Scozia).

Nikka ha deciso di non sostituire questa colonna con impianti più moderni ed efficienti per non snaturare i propri prodotti e mantenere quella rotondità che li contraddistingue. Bel colore dorato carico, è un malto dolce e fruttato. Effettivamente rotondo sia al naso che in bocca rivela pian piano la propria dolcezza fino ad aggiungere sul finale una nota speziata. Potremmo definirlo “da dessert”.

Passiamo quindi al Nikka Coffey Grain 45% e capiamo perché Sayumi ci ha fatto invertire i bicchieri. Blend di Whisky di Grano ottenuti dalla stessa colonna Coffey si presenta immediatamente più dolce. Il colore è più scuro del predente, al naso emerge una bella nota fruttata ed una spezia morbida. Note di vaniglia. In bocca non tradisce le aspettative.

È invecchiato in botti ex Bourbon recharded (riparate) o retoasted (che hanno subito un processo di nuova tostatura all’inteno) ed è questa componente “americana” a regalare i sentori. Se lo avessimo bevuto subito forse non avremmo capito fino in fondo il Coffey Malt precedente.

È il momento di degustare il Nikka From The Barrel 51.4%. Il prodotto è un blend di 60% Grain Whisky (prodotto a Miyagikyo) e 40% Malt Whisky (prodotto in entrambe le distillerie) finissato in botti ex Bourbon. Colore tendente all’ambrato al naso rivela subito l’utilizzo della botte americana ma la vera sorpresa è all’assaggio. È potente nei suoi oltre 51 gradi eppure non perde di eleganza, è anche estremamente rotondo e morbido. Proprio per la sua eleganza non ci sorprende sapere che questo fu il Whisky che nel 1984 stupì a Parigi rivelando al mondo l’esistenza del Giappone.

Il quarto Whisky è Miyagikyo Single Malt 45%. Single Malt non torbato dal colore dorato. Al naso rivela tutta la maestria e la ricerca della perfezione tipiche della cultura giapponese. Pulito, fruttato. In bocca alcolicità ed acidità sono perfettamente dosate. È un “no age” ed è veramente difficile trovarlo in commercio in Italia, questo perché per lungo tempo l’export è stato bloccato. È questo infatti il malto che ha sancito la nascita ed esplosiva crescita del mercato interno giapponese.

Oggi nei magazzini di Miyagikyo riposano diverse partite in attesa di maturazione, per cui si spera di poterlo avere più facilmente in futuro. Il Whisky in invecchiamento riposa in botti ex Bourbon ed ex Sherry. Nikka (ma anche Suntory) non usa più le botti di Mizunara, la Quercia Giapponese (Quercus Mongolica), tipica di Hokkaido, il cui legno è molto duro e quindi difficile da curvare col rischio di continue rotture delle botti. La Mizunara però ha anche la caratteristica di essere estremamente porosa e quindi di donare al Whisky una maturazione (ci dicono) del tutto particolare.

Ultimo assaggio per Yoichi 10 y.o. 45%, l’unico malto giapponese torbato. 20ppm, una torbatura leggera ma ben evidente. Se Miyagikyo è la Geisha, Yoichi è il Samurai. Più forte, più deciso, ma altrettanto preciso. La distilleria è a meno di 1 Km dal mare e si sentono le note iodate. I caratteristici alambicchi di Yoichi hanno il “collo di cigno” rivolto verso il basso che dona una maggiore oleosità.

Una curiosità: unico caso al mondo gli alambicchi qui sono ancora riscaldati a fuoco diretto utilizzando carbone naturale, metodo che non consente certo lavorazioni rapide e che costringe a lunghi tempi di improduttività. Ancora una volta la millenaria cultura giapponese si rivela.

La serata si chiude sulla lunga persistenza del nostro Yoichi. Resta il tempo di salutare, ringraziare e rubare una foto a Sayumi. Ma nella mente i profumi e le parole vissuti ci accompagnano ancora a lungo mentre meditiamo su come lo straordinario incontro di due culture, di due gusti, di due mondi tanto diversi ha dato vita ad un prodotto, ad un’esperienza, così seducente.

LA STORIA DEL WHISKY GIAPPONESE
Il noto film di Zwick, con protagonisti Tom Cruise e Ken Watanabe, per quanto romantizzato in stile hollywoodiano, ci catapulta nella storia di questa affascinante nazione. Ed è da lì che dobbiamo partire per capirne il Whisky.

È il 1853 ed il Giappone, nazione fino ad allora chiusa al commercio ed allo scambio culturale con le nazioni estere, riceve la visita dell’Ambasciatore Americano che chiede al Giappone di aprire i propri confini. L’Ambasciatore si presenta con in dono due bottiglie, una di Bourbon e l’altra di American Irish Whiskey (il Whiskey irlandese prodotto per il mercato americano). È un successo! Fino ad allora l’unico alcolico consumato è stato il sakè (bevanda di riso fermentato) e negli anni seguenti a corte, e non solo, si fa a gara per accaparrarsi le poche bottiglie che le delegazioni straniere portano con se nelle visite ufficiali.

È il 1871 quando finalmente i trattati commerciali diventano operativi ed inizia l’import di Whisky ma è un import costoso, poche bottiglie a prezzi elevatissimi e così c’è chi prova ad organizzarsi per una produzione interna. Per farlo però mancano completamente le conoscenze ed i produttori di sakè iniziano a produrre un sakè corretto con spezie ed aromi nel vano tentativo di imitare il Whisky, finché nel 1918 un giovane ragazzo, Masataka Taketsuru, decide di partire per la Scozia per imparare l’arte della distillazione e dell’invecchiamento.

In Scozia Taketsuru studia a Glasgow e nello Spayside per poi lavorare in ben 4 distillerie diverse, dalle Lowlands alle coste del nord, producendo dai malti dolci ai malti torbati. Durante la sua permanenza in Scozia Taketsuru conosce, se ne innamora, e sposa Jessie Roberta Cowan, detta “Rita”, figlia di un’importante famiglia borghese. Questo amore, comprensibilmente contrastato dai di lei genitori, giocherà inconsapevolmente un ruolo di rilievo nella storia del Whisky made in Japan.

Nel 1923 Taketsuru e Rita rientrano in Giappone e lui viene immediatamente assunto come Master Distiller da Shinjiro Torii che stava giusto in quel momento fondando la prima distilleria, quella destinata a divenire l’attuale Suntoy. La fonda a Yamazaki per due ragioni: la grande presenza di acqua e la vicinanza con Osaka, la città più importante in quel momento, nella parte meridionale dell’isola di Honshu.

Il palato giapponese, il senso del gusto nipponico, è però toppo delicato per chi come Taketsuru si è forgiato nelle Glen scozzesi e questo lo porta sin da subito in contrasto con Torii. I primi prodotti sono infatti un fiasco commerciale e se Taketsuru vuole perseverare sapendo che quello è il modo di fare il Whisky, Torii vorrebbe ammorbidirlo per renderlo più gradito al mercato interno. Nel 1934 si consuma la frattura, Yamazaki continuerà a produrre in proprio il Whisky “alla Torii” mentre Taketsuru lascia l’azienda per fondarne una propria.

In realtà non riuscirà a fondarla subito per mancanza di capitali ed aprirà quindi una azienda di succhi di frutta, prevalentemente mela, che chiama “Dai Nippon Kaju” (contratto poi in Nikka). Solo nel 1940, coi soldi guadagnati, aprirà la sua distilleria e sceglie di farlo a Yoichi, sulla punta più settentrionale dell’isola di Hokkaido, quella più a nord. Lo fa lì per due validissime ragioni.

La prima è la presenza di una ricca sorgente di acqua purissima, indispensabile per fare il Whisky. La seconda è il terroir. Avete mai fatto caso che il Gippone è disposto in verticale? Le sue isole coprono ben 22 paralleli di latitudine e così se le isole più meridionali godono di un clima sub tropicale Hokkaido, a nord, è caratterizzata da inverni rigidi, estati fresche e precipitazioni. Hokkaido è una piccola Scozia!

Il contrasto che ha portato alla divisione fra Torii e Taketsuru è il motivo per cui Suntory e Nikka ancora oggi non si scambiano partite di Whisky, come invece avviene per i blend scozzesi, ed ognuna è costretta a prodursi da sola tutte le partite necessarie ai tagli. Così nel 1969 Nikka fonda la sua seconda distilleria, Miyagikyo, dove oltre agli alambicchi decide di installare anche una colonna Coffey del 1961, ancora oggi in funzione per produrre, appunto, alcuni dei whisky degustati con Sayumi Oyama.

Le due distillerie, Yamazaki e Yoichi, continuano e lentamente incrementano la loro produzione ma la domanda interna scarseggia ed il whisky si vende prevalentemente all’estero. Nel 1984 e 1985 accadono i due fatti che sconvolgeranno il mercato del Whisky nipponico.

Nel 1984 Nikka presenta in fiera a Parigi un prodotto: “Nikka Form The Barrel” 51.4% (che abbiamo degustato). È confezionato in una strana bottiglia quadrata, ancora oggi in uso, che attira l’attenzione e vince il premio per il miglior design. È un whisky morbido eppur deciso che non piace al mercato giapponese ma che unitamente al design riscuote un immediato successo internazionale. È l’inizio del grande export.

Nel 1985 una TV privata giapponese mette in onda uno sceneggiato dedicato all’amore romantico e contrastato di un giovane uomo giapponese ed una ragazza scozzese. Il riferimento a Taketsuru e Rita è palese, il Giappone scopre il proprio Whisky, è il boom della domanda interna. Professionisti e casalinghe non vedono l’ora di acquistarlo.

Considerata la limitata capacità produttiva di Nikka e Suntory e la grande richiesta data dalla sommatoria di domanda interna ed esterna è il collasso. Le due distillerie sono costrette a contingentare le esportazioni ed a sacrificare partite che riposavano tranquille in invecchiamento per soddisfare le richieste.

Questo il motivo per cui moltissimi Whisky Giapponesi oggi sono “No Age”, questo il motivo per cui il ricercato Yoichi 10 y.o. 45% è quasi introvabile così come lo è il Miyagikyo Single Malt (entrambi degustati).

Considerate che oggi Nikka produce annualmente circa 2 milioni di litri nelle due distillerie, Suntory ne produce circa 5 milioni. Sette milioni di litri è poco meno della produzione annuale della famosa distilleria Bowmore ad Islay. L’intero Giappone produce quanto una media distilleria scozzese, non c’è da stupirsi se è così raro da trovare sul mercato.

L’effetto di “under allocation” persiste, lo sanno bene importatori e distributori che vorrebbero poterne commercializzare di più, ma il mercato europeo è tenuto in grande considerazione dalle due case giapponesi e così Nikka riesce ad essere presente con ben 11 prodotti diversi, figli dei 2 malti di Yoichi e Miyagikyo e delle varie distillazioni a colonna.

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