Cia e Unionbirrai: “Filiera agricola a rischio se si ferma la Birra Artigianale”

Il -90% della produzione brassicola frena la crescita di orzo e luppolo italiano

La Birra Artigianale Italiana come motore trainate dell’intero comparto agricolo ad essa legato. Motore che a causa della pandemia ha subito una battuta d’arresto, con gli oltre 900 microbirrifici che registrano un calo del fatturato pari al 90%, che rischia di frenare l’intera filiera agricola composta da migliaia di produttori di luppolo e orzo distico.

È quanto emerge dalla webinar “La birra indipendente artigianale e la filiera brassicola in Italia: il difficile presente, le azioni a supporto, le sfide del 2021” organizzata congiuntamente da Cia-Agricoltori Italiani e Unionbirrai, cui hanno partecipato il presidente nazionale di Cia Dino Scanavino, il direttore generale di Uninbirrai Vittorio Ferraris, Silvio Menghini (docente di Marketing Agrario dell’Università di Firenze), Andrea Soncini (consigliere Unionbirrai con delega agli Affari legali), Erri Morlacca (Birrificio Agricolo Jester), Leonardo Moscaritolo (presidente Gie Cereali di Cia e produttore di orzo distico) e Francesco Fancelli (presidente Consorzio Luppolo Made in Italy).

La crescita della Birra Artigianale è da sempre legata a doppio filo alla crescita dei consumatori: quanto più consapevole è il consumatore tanto più la Birra cresce e con essa la sua filiera agricola. Oggi le chiusure di ristoranti, pub e bar, confermate per le festività di Natale, e il blocco di fiere, eventi, sagre che ne costituiscono il naturale mercato di sbocco rischiano di innescare il meccanismo opposto, generando non solo una crisi che va oltre la birra stessa, ma anche “raffreddando” il consumatore.

Sono necessari interventi strutturali e di lungo periodo per tutelare e dare nuovo slancio al settore. “Bisogna differenziare il mondo artigianale dalla produzione industriale di birra – ha dichiarato Vittorio Ferraris – Ad oggi esiste un unico codice Ateco sia per i piccoli produttori che per le grandi industrie. Con un codice Ateco specifico per i piccoli birrifici indipendenti, invece, si faciliterebbero future iniziative ad hoc per il comparto”.

L’emendamento approvato alla legge di Bilancio 2021, che prevede un fondo di 10 milioni di euro a sostegno delle filiere agricole minori, può essere un primo passo ma ci sono anche altre richieste da parte degli operatori che vanno nella direzione di un allentamento di obblighi fiscali e finanziari, come ad esempio la riduzione dell’Iva per il 2021 per la birra artigianale italiana, considerandola come prodotto della filiera agroalimentare.

Più volte inoltre è stato chiesto di prevedere un credito d’imposta per gli esercenti che hanno acquistato e acquisteranno birra artigianale sfusa, così da aiutare i locali attualmente di nuovo in lockdown e rilanciare la produzione dei birrifici. Già da tempo, inoltre, si è avviato un dialogo costruttivo con la Gdo per entrare in maniera concorrenziale nei supermercati italiani, puntando sulla qualità.

Se è indubbio il valore della Birra Artigianale, forte del 4% del mercato italiano della birra ed in grado di dare lavoro ad oltre 7 mila addetti, con una produzione media di 500 mila ettolitri l’anno, di cui circa il 20% biologico, ed un fatturato di oltre 250 milioni di euro, meno evidenti sono le sue ripercussioni sulle attività a monte. La ricerca di una sempre più spiccata territorialità e di una maggiore “italianità”, a partire dalle materie prime, ha spinto negli ultimi anni a sempre maggiori investimenti in agricoltura.

La coltivazione di orzo distico ha preso sempre più piede là dove, fino a pochi anni fa, il grano duro era la principale cultivar cerealicola del bel paese. Un cambio di passo che ha giovato e gioverà all’agricoltura italiana alleviando la stanchezza dei terreni troppo intensamente coltivati con un’unica varietà, favorendo lo sviluppo di aree rurali in cui per la mancanza di infrastrutture l’orzo risulta essere l’unica cultivar economicamente produttiva, nonché innescando un meccanismo di “turismo brassicolo” con logiche simili a quelle della vite e del vino.

Se la battuta d’arresto della Birra Artigianale rischia di bloccare lo sviluppo della filiera dell’orzo, ancor più gravi rischiano di essere le ripercussioni su quella del luppolo, da sempre anello debole della catena brassicola nazionale ma anche grande opportunità di sviluppo. Ad oggi sono circa 80 gli ettari coltivati a luppolo in Italia, pochi ma con grandi possibilità di crescita sia per il mercato nazionale che internazionale.

Opportunità che si possono cogliere solo facendo progredire una filiera che si sta costruendo ex novo e che richiede continui investimenti. Basti pensare che avviare la produzione di luppolo costa circa 40 mila euro all’ettaro, ettaro che diventa pienamente produttivo solo dopo il terzo anno con una produzione di circa 2 mila kg all’anno. Se si considera che ad un agricoltore il luppolo italiano viene pagato da 15 ai 18 euro al kg è evidente lo sforzo necessario.

Grossi investimenti da fare in fiducia che sono stati trainati dalla forte crescita della Birra Artigianale. Ora che il volano si è fermato occorre farlo ripartire per evitare di perdere non solo ciò che si è costruito ma anche, e soprattutto, ciò che si potrà costruire.

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