Cos’hanno in comune Australia e Sudafrica? All’apparenza ben poco, se non la condivisione dell’emisfero sud. A guardar bene, entrambi i Paesi condividono progetti scrupolosi per la valorizzazione delle vigne vecchie ancora produttive.
Chiedere per credere alla vignaiola australiana Prue Henschke e al poliedrico entrepreneur André Morgenthal, che in un webinar organizzato ieri dal Circle of Wine Writers hanno illustrato il nesso tra la Old Vine Charter della Barossa Valley australiana e l’Old Vine Project che interessa ben 3.303 ettari di vecchie vigne sudafricane.
La Valle di Barossa, nel Sud dell’Australia, ospita alcuni dei vigneti più antichi del mondo, tuttora in produzione. Proprio per questo, nel 2009 è stata istituita la Barossa Old Vine Charter.
Un documento che racchiude la “carta d’identità” di tutti i vecchi vigneti della zona non solo in ottica di conservazione, ma soprattutto di valorizzazione del loro materiale genetico. Un vero e proprio caposaldo per la Barossa Grape & Wine Association (BGWA), nata un anno prima della “Charter”, nel 2008.
Tre le macroaree. Le “Barossa Old Vine” racchiudono le vigne con età uguale o superiore ai 35 anni. A seguire le “Barossa Survivor Vine“, con età uguale o superiore a 70 anni. Ecco poi le “Barossa Centenarian Vine“, le vigne vecchie almeno 100 anni. Infine, le “Barossa Ancestor Vine“, monumenti naturali di almeno 125 anni.
La verità è infatti che l’Australia possiede alcune tra le vigne vecchie ancora produttive più antiche del mondo, le cui radici – è il caso di dirlo, senza eufemismi – affondano nel tempo e nella storia oltre che nel terreno, indietro fino al 1840. Si tratta principalmente di Shiraz (Syrah), Cabernet Sauvignon, Grenache, Mataro (Mourvèdre), Riesling e Semillon.
Non a caso, Prue Henschke produce “Mount Edelstone” e “Hill of grace“, due vini icona base Shiraz, da vigne impiantate nel 1912 da Ronald Angas, uno dei discendenti di George Fife Angas, padre fondatore dello Stato del South Australia.
Etichette uniche al mondo, al pari di quelle di cantine come Cirillo Estate, Hewitson, Langmeil, Penfolds, Poonawatta Estate, Chateau Tanunda, Elderton, Turkey Flat e Yalumba, ottenute da vigne di età superiore ai 125 anni.
Per trovare un simile progetto di valorizzazione organica delle vecchie vigne e dei vini da esse prodotti, occorre appunto spostarsi in Sudafrica. Qui, nel 2016, dopo aver lasciato il suo ruolo di responsabile comunicazione di Wines of South Africa (WOSA), André Morgenthal ha dato vita con Rosa Kruger all’Old Vine Project.
«Ho imparato che le vigne vecchie vanno trattate un po’ alla stregua delle bisnonne, ogni volta che ci entriamo in contatto, dalla potatura alla vendemmia», scherza il managing director della venture che ha come obiettivo il salvataggio e la propagazione del materiale genetico dei 3303 ettari di vigne del Sudafrica con età superiore ai 35 anni.
Un progetto che abbraccia tutto il territorio vitato del paese africano, con i suoi diversi terroir: dalle sabbie rosse di Skurfberg allo scisto di Kasteelberg, passando per la sabbia marina di Dwarskersbos e il granito di Paardeberg. Ma in Sudafrica l’Old Vine Project consente di fare un passo in più, rispetto ad altre parti del mondo.
Grazie a “The Certified Heritage Vineyards Trading Platform”, Morgenthal e il suo team si pongono l’obiettivo di connettere i vignaioli che possiedono vigne vecchie ad altri professionisti del settore, come enologi e agronomi, offrendo corsi di formazione ad hoc per la potatura di questi monumenti naturali.
«Garantendo approcci di valore lungo tutta la catena – sottolinea il managing director dell’Old Vine Project – possiamo creare un modello di business sostenibile per tutti gli stakeholder». Che futuro sarebbe, del resto, senza consapevolezza del passato?
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.