Rapporto ristorazione Fipe: «Un bollettino di guerra»

Crollano fatturati, ricavi ed occupazione

Rapporto ristorazione Fipe Un bollettino di guerra

È stato presentato il “Rapporto Ristorazione 2020” di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, alla presenza del Ministro Giorgetti. Rapporto che Fipe non esita a definire «un bollettino di guerra», frutto di un anno di pandemia che ha ridotto in macerie il settore dei Pubblici esercizi.

In 14 mesi sono stati bruciati il doppio dei posti di lavoro creati tra il 2013 e il 2019, l’incertezza è diventata il sentimento prevalente e lo dimostra la riduzione del 50% del numero di nuove attività avviate nell’anno.

«Dal primo lockdown ad oggi – spiega Lino Enrico Stoppani, Presidente di Fipe-Confcommercio – gli imprenditori dei Pubblici Esercizi hanno vissuto una vera e propria odissea, dovendo fare i conti con il crollo del loro fatturato, l’impossibilità a pianificare la loro attività e una diffusa sensazione di accanimento dei provvedimenti, non giustificato dai dati, nei loro confronti».

La crisi non travolge solo l’offerta, ma influenza profondamente anche la domanda. I consumi degli italiani si sono fatti meno sofisticati, con la spesa alimentare domestica che non è riuscita a coprire nemmeno il 20% di quanto perso con lo stop a bar e ristoranti.

I nuovi usi e consumi degli italiani hanno spinto gli imprenditori del settore a puntare su nuovi servizi digitali, sulla diversificazione dell’offerta e una migliorata qualità dei prodotti agroalimentari, oltre che su una cucina in grado di renderli riconoscibili e valorizzarli.

Per seguire questi cambiamenti da vicino, Fipe-Confcommercio ha deciso di affiancare il suo tradizionale rapporto annuale sulla ristorazione, con una indagine sui prossimi mesi e le prospettive di ripartenza, realizzata in collaborazione con Bain & Company e TradeLab.

«Nonostante la situazione l’85% degli imprenditori ha sostanzialmente fiducia di tornare in futuro ai livelli pre-pandemia – aggiunge Stoppani – senza tuttavia l’illusione di tornare quelli di prima: gli imprenditori del settore hanno già cominciato un profondo processo di ripensamento e innovazione».

«L’impatto del Covid sul settore della ristorazione è stato drammatico e la ripartenza degli operatori richiederà una trasformazione dell’offerta, delle esperienze, combinata alla capacità di cogliere le nuove abitudini di consumo e nuovi servizi come la presenza sulle piattaforme digitali», commentano i partner di Bain & Company Sergio Iardella e Duilio Matrullo e l’Associate Partner Aaron Gennara Zatelli.

«I driver che sottostanno alla crescita del fuori casa torneranno, a breve, a essere determinanti: struttura demografica, stili di vita, voglia di socialità e forte ripresa del turismo nazionale e internazionale – dice Bruna Boroni, Director Industry Afh Tradelab – La pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione ed efficientamento del settore, e valorizzato le relazioni di filiera, fattori che determineranno un’ulteriore spinta alla crescita del mercato e alla creazione di valore».

I DATI

Secondo i dati Istat, nel 2020 in Italia si sono persi 2,5 milioni di posti di lavoro misurati in unità standard di lavoro, di cui 1,9 milioni nei servizi. Il più colpito è il settore della ricettività e della ristorazione che ha visto bruciare in un solo anno 514 mila unità, più del doppio dei 245 mila creati tra il 2013 e il 2019. Un dato allarmante che dimostra però anche l’eccezionale dinamicità pre-Covid del fuoricasa italiano.

Il 2020 si è caratterizzato per un numero eccezionalmente basso di nuove imprese avviate: 9.190 a fronte delle oltre 18 mila aperte nel 2010. Per contro, i dati Infocamere certificano la chiusura nell’anno della pandemia di 22.250 attività.

Un dato che, tuttavia, sottostima la reale dimensione della crisi delle imprese della ristorazione, i cui effetti si vedranno soltanto nei prossimi mesi quando terminerà l’effetto anestetico dei provvedimenti di cassa integrazione, ristori, moratorie e via dicendo. A dicembre del 2020 negli archivi delle Camere di Commercio italiane risultavano attive 335.417 imprese della ristorazione.

Dopo aver raggiunto il suo massimo storico nel 2019, con oltre 46 miliardi di euro, il valore aggiunto generato dalle imprese della ristorazione è precipitato in un solo anno di 33 punti percentuali. Un dato che si traduce in un crollo della fiducia degli imprenditori in una pronta ripresa del mercato della ristorazione.

Nel primo trimestre del 2021, il saldo tra valutazioni positive e valutazioni negative sulla dinamica del fatturato dell’intero settore segna -68,3%, in peggioramento di 13 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante l’intero Paese si trovasse in lockdown.

Un’indagine condotta da Fipe e Format Research certifica che il 97,5% degli imprenditori ha registrato, nel corso del 2020, un calo del fatturato della propria azienda. In particolare, 6 titolari di Pubblici esercizi su 10 ha lamentato un crollo di oltre il 50%, mentre il 35,2% ritiene che il fatturato si sia contratto tra il 10% e il 50%.

I motivi alla base della riduzione dei ricavi sono da ricercarsi principalmente nel calo della domanda a causa delle misure restrittive, sia sulle attività che sulla mobilità delle persone (88,8%), nella riduzione della capienza all’interno dei locali per l’attuazione dei protocolli di sicurezza (35,4%) e nel calo dei flussi turistici (31,1%), in particolare di quelli stranieri.

A fronte di tutto questo, i ristori previsti dal governo sono stati insufficienti. Per l’89,2% degli imprenditori i sostegni sono stati poco (47,9%) o per nulla (41,3%) efficaci.

Costretti a casa dai lockdown gli Italiani hanno aumentato i loro consumi domestici con la spesa alimentare cresciuta di 6 miliardi di euro in un anno. Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro.

Un dato che certifica come gli italiani abbiano speso meno soprattutto per prodotti agroalimentari di qualità superiore (vino, olio, piatti elaborati), comunemente consumati in maniera maggiore all’interno dei ristoranti. In termini si spesa pro-capite siamo tornati indietro di 26 anni, al 1994.

Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi. Se a luglio 2020, periodo nel quale i locali sono tornati a lavorare a buoni ritmi, la colazione rappresentava il 28% delle occasioni di consumo complessive, a febbraio 2021 la percentuale è salita al 33%.

L’esatto contrario di quanto accaduto con le cene, passate dal 19% a meno dell’11%. A conti fatti, a febbraio di quest’anno colazioni, pranzi e pause di metà mattina hanno costituito l’87% delle occasioni di consumo fuori casa. Mentre è completamente scomparsa l’attività serale.

L’85% dei titolari di bar e ristoranti si è detto sicuro che il settore riprenderà a marciare con decisione. L’incognita, tuttavia, è la data di fine dell’emergenza. Per meglio definire tempi e modalità della ripresa, Fipe-Confcommercio ha interpellato alcuni qualificati rappresentanti dell’industria, della distribuzione e della stessa ristorazione.

Per quanto riguarda il ritorno ai livelli di fatturato pre-Covid, il 72% degli intervistati si divide equamente tra chi lo ritiene possibile nel 2022 (36%) e chi invece prevede uno slittamento al 2023 (36%). Resta un 27% di pessimisti che ritiene plausibile un ritorno a pieno regime solo nel 2024.

In generale, la speranza è quella che l’effetto rimbalzo dei consumi fuoricasa nei prossimi 3-5 anni possa portare a un incremento dei consumi nei pubblici esercizi tale da superare i livelli del 2019.

Per cogliere questa opportunità, tuttavia, gli “addetti ai lavori” individuano due strade maestre. Per il 27% degli intervistati gli imprenditori dovranno puntare su un incremento dei servizi digitali, a cominciare dall’home delivery e da forme di take away sostenibili ed efficaci, attraverso menù appositamente studiati.

Un altro 27% suggerisce invece di puntare su un miglioramento della qualità, puntando su una specializzazione identitaria in grado di garantire riconoscibilità a un bar o a un ristorante. Sempre più decisiva, in quest’ottica, anche una puntuale attività di marketing e comunicazione.

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