Enologi, «piccoli chimici» o alchimisti? Che sui vini dealcolati serva chiarezza è ormai evidente. A maggior ragione sul ruolo (in cantina) di chi, a quei vini senza alcol, dà vita. Non a caso Assoenologi, l’associazione italiana che raggruppa enologi ed enotecnici italiani, ha pubblicato sull’ultimo numero della sua rivista un interessante intervento di Gianmaria Zanella, Lab Manager di Enologica Vason, azienda con sede a San Pietro in Cariano (Verona), nel cuore della Valpolicella, con più di 50 anni di attività nell’offerta di know-how ai consulenti vitivinicoli, attraverso opportunità e servizi per il mondo enologico. Ripubblichiamo di seguito l’intervento di Zanella su l’Enologo.
VINI DEALCOLATI, LOW-NO ALCOHOL: IL RUOLO DELL’ENOLOGO
«Il ruolo dell’enologo nella produzione dei vini dealcolizzati – scrive Zanella – è importantissimo. Solo questo professionista può far capire a tutti gli attori della filiera cosa sono questi vini e come possono andare incontro alle esigenze del mercato. La dealcolizzazione è un processo molto complesso che nasce come risposta al global warming, come modulazione per ridurre le elevate gradazioni alcoliche.
Per determinare il giusto livello di alcol occorre attuare lo “sweet spot tasting” ossia il giusto bilanciamento per ottenere lo stile desiderato. Si simula la dealcolizzazione su un campione e si esegue una degustazione del prodotto con gradazioni alcoliche crescenti (0,2% per volta). In base al risultato della degustazione si definirà quale grado alcolico meglio valorizza il vino.
Tre sono le tecniche di separazione recepite dal Reg. Ue 2021/2117 che possono essere utilizzate singolarmente o in modo combinato: la distillazione; le tecniche di membrana e l’evaporazione sottovuoto. La distillazione sottovuoto è adatta anche per la dealcolazione totale ha però una temperatura di processo intorno ai 40 gradi e in alcuni casi potrebbe esserci la possibilità di aggiungere acqua, cosa non consentita, quindi non è performante. Oppure abbiamo lo “spinning core column” (colonna a cono rotante), adatto anche a dealcolizzazione spinta, che consta di due processi: un recupero degli aromi a 20-25 gradi a cui segue la dealcolizazione vera e propria. La forza centrifuga in questo caso aiuta il processo».
VINI DEALCOLATI: TECNICA E MERCATO
«Come tecnica a membrana – continua l’intervento di Gianmaria Zanella – un esempio può essere la “membrana contattore”, un processo svolto a temperatura ambiente dove la driving force è l’acqua. Si adatta bene alla dealcolizzazione parziale. Il ruolo dell’enologo è dominare questi processi e riuscire a lavorare d’anticipo con la propria conoscenza. Parlando di questi tre filoni di tecniche dobbiamo renderci conto che sono diverse per concentrazioni aromatiche e di altri macrocomponenti del vino.
Il mercato ce lo chiede e noi enologi dobbiamo capire come gestire questi processi. È’ necessaria una progettualità in cui l’enologo sia al centro. La maturazione e lo stato sanitario delle uve devono essere eccelsi. Non si può pensare di partire da una raccolta anticipata perché ci sarebbe uno squilibri nel contenuto di maturità fenolica che in assenza di alcol peserebbe tantissimo. L’obiettivo enologico deve essere ben definito e condiviso con tutti gli attori della filiera.
Low alcol, parziale, totale, stile del vino, packaging e chiusure: tutto va definito nel dettaglio, soprattutto perché questi prodotti hanno un’ossidabilità completamente diversa dai normali vini e un’alta pericolosità dal punto di vista microbiologico. Con questi prodotti occorre essere maniacali con i controlli microbiolgici continui, piani di igiene, filtrazioni sterili, ecc. L’obiettivo del processo – conclude il suo intervento Gianmaria Zanella – è una bevanda che sia simile al vino anche se l’assenza di alcol dal punto di vista sensoriale pesa tantissimo, influenza l’acidità, la percezione olfattiva, la struttura, l’amaro. Bisogna quindi lavorare in anticipo con correttivi e pratiche enologiche».
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