EDITORIALE – Bonarda o Metodo classico? Sangue di Giuda o Pinot Nero? La scelta dei vini da promuovere è al centro del dibattito del Consorzio Oltrepò Pavese, che si ritrova a dover affrontare nel 2025 l’ennesimo ribaltone. Nove cantine, tra cui diversi imbottigliatori e aziende con ingenti interessi nel mondo del Bonarda e di altre tipologie di vini locali – quasi tutte caratterizzate da grandi volumi e prezzi aggressivi sugli scaffali dei supermercati – hanno deciso di uscire dal Consorzio a fine 2024. Non a caso, tra le recriminazioni (ufficiali) fornite dalle nove aziende dimissionarie, l’enfasi maggiore viene data alla presunta mancanza di «proporzionalità tra contributi versati e promozione delle singole denominazioni». «Ormai da mesi – denunciano le 9 cantine uscite dal Consorzio – è stata azzerata quella su prodotti ritenuti “minori”, ma che in realtà sono quelli su cui oggi vive l’intero territorio».
Per accorgersi che al centro del dibattito ci sia soprattutto la Bonarda, apparentemente “accantonata”, di recente, da un Consorzio che – sotto la guida della presidente Francesca Seralvo e del direttore Riccardo Binda – sembra invece voler puntare più sul Pinot Nero (in primis Metodo classico, ma anche rosso fermo), basta analizzare le ultime mosse della precedente gestione dell’ente. Il duo Gilda Fugazza – Carlo Veronese, espressione vicina al mondo degli imbottigliatori oltrepadani (ovvero alla gran parte delle aziende oggi dimissionarie) aveva dato il via a una massiccia operazione di marketing sulla Bonarda, con numerosi post social e affissione di manifesti pubblicitari in città come Milano.
BONARDA, ALIAS “RED BOLLA”: UNA CAMPAGNA… DIMENTICABILE
Toni piuttosto discutibili quelli scelti, a suo tempo, per promuovere la Bonarda. Sul profilo Instagram del Consorzio Oltrepò, accompagnate da immagini e grafiche finanziate da un contributo Masaf, appaiono frasi come: «Equilibrismo enologico: quando l’amore per la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc raggiunge nuovi livelli!»; «Chi ha detto che il multitasking è difficile? Ecco a voi l’arte della ‘Bonarda balancing‘!»; «Dalle campagne pavesi con furore, la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc merita un selfie anche quando scollina su Milano»; o ancora: «Ogni volta che entro in un locale, incrocio le dita… nella speranza di trovare la mia adorata Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc», che sembrano non aver fatto molta presa, se si considerano le recenti recriminazioni dei dimissionari, già preoccupati dalla “distrazione” di fondi su altre denominazioni.
I (TANTI) VOLTI (ED INTERESSI) DELLA BONARDA
Da notare che all’epoca (era il 2023) nessuna piccola azienda del Consorzio si era opposta (almeno ufficialmente) a una così massiccia promozione di una denominazione sulla quale si concentrano principalmente interessi di imbottigliatori e grandi cantine. Vero, poi, che il territorio è ormai storicamente diviso anche sulla Bonarda: da un lato quella “di massa”, di aziende come Losito e Guarini (tra le dimissionarie, che più volte l’ha proposta in Gdo a prezzi promozionali davvero stracciati). E dall’altra la “Bonarda dei produttori”, nota anche come “Bonarda perfetta” realizzata per “statuto” – dell’ormai silente “Distretto dei vini di qualità” dell’Oltrepò pavese – da aziende di filiera, con uve Croatina in purezza e rese contenute rispetto ai limiti stabiliti dal disciplinare. Qualcosa, insomma, che non può essere sintetizzato, anzi – diciamola tutta – “sbeffeggiato” dall’assurdo claim “Red Bolla”, affibbiato dalla precedente gestione del Consorzio Oltrepò alla Bonarda, in stile “Milanese imbruttito”.
LO SCONTRO POLITICO: A CHI GIOVA?
Ma ci sono anche altri aspetti da sottolineare e analizzare, rispetto al tempismo dell’uscita di nove aziende dall’ente oltrepadano. La recente elezione di Michele Zanardo a presidente del Comitato nazionale vini Dop e Igp è una di queste. Si tratta infatti di una figura molto vicina all’Oltrepò pavese. Zanardo è enologo di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò fondata e guidata da Manuela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. L’esponente della Lega, pavese di nascita, è da mesi protagonista di uno scontro diretto sui social con il Ceo e figlio del presidente di Terre d’Oltrepò, Umberto Callegari – membro del Cda del Consorzio – che non risparmia critiche feroci al gruppo guidato da Matteo Salvini, definendolo pubblicamente un «troglodita».
Con gli imbottigliatori fuori dai giochi del Consorzio, la centralità della cooperativa di Santa Maria della Versa negli equilibri dell’ente è ancora più evidente. E così lo sono le responsabilità della famiglia Callegari nei confronti di tutti i soci della cooperativa (che di recente si è dotata di una Spa, non senza polemiche). Lo scontro con il senatore Centinaio, che dal fronte politico si sposta su quello dirigenziale, toccando uno dei “nervi scoperti” oltrepadani, è una delle chiavi di lettura del futuro del territorio. Da considerare che, nel suo nuovo ruolo, Michele Zanardo sarà chiamato a “vidimare” – tra gli altri – le modifiche al disciplinare del Metodo classico base Pinot Nero dell’Oltrepò pavese: un altro motivo del contendere tra dimissionari e attuale Cda dell’ente di Torrazza Coste. Ammesso (e concesso) il ruolo super partes del numero uno del Comitato Vini, a chi giova uno scontro politico così acceso?
RIVOLUZIONE O AUTOGOL: L’OLTREPÒ DEI “PICCOLI” PUÒ FUNZIONARE?
Neppure troppo sullo sfondo c’è però una gigantesca opportunità per il Consorzio. Francesca Seralvo e l’ex Bolgheri Riccardo Binda, decisi a tirare dritto e a «governare l’ente anche senza erga omnes» sulla maggior parte delle denominazioni (i conti esatti si faranno a giugno 2025), potrebbero ritrovarsi a capo di uno dei pochi Consorzi del vino italiano realmente guidati da aziende di filiera. Un organismo “modello Fivi”, che da anni tenta di promuovere una modifica dei meccanismi di rappresentatività dei Consorzi del vino italiano.
In altre parole, quello che si sta profilando nel pavese è un Consorzio (per lo più) a “conduzione famigliare”, in cui le piccole e medie aziende hanno la meglio sugli imbottigliatori nelle logiche di promozione, come quelle che vedono appunto “contrapposto” Bonarda e Metodo classico. Ma anche, e soprattutto, nella stesura dei disciplinari di produzione, nella programmazione. E nella necessaria identificazione di una piramide della qualità ben definita, che oggi manca ai vini dell’Oltrepò. Alla finestra, tra l’altro, gli ultimi arrivati: i siciliani di Ermes, che hanno acquistato Cantina di Canneto e che hanno già dato parecchio filo da torcere al tessuto cooperativo locale, in occasione della vendemmia 2024 (la prima nel pavese).
IL PESO DELLA STORIA: BERLUCCHI TRA GLI “AGHI DELLA BILANCIA” IN OLTREPÒ
«Non ci sentiamo più rappresentati da un Consorzio che sta inoltre cercando in tutti i modi di modificare lo Statuto con lo scopo di accentrare i poteri decisionali al Cda», denunciano non a caso le cantine dimissionarie. Nel silenzio, più di nove aziende sono pronte a rimpiazzare – non quantitativamente, ma più che mai qualitativamente – quelle fuoriuscite. E si tratta proprio di piccole medie aziende di filiera, tra cui spicca il nome – pesantissimo – di Vigne Olcru: la cantina oltrepadana fortemente voluta dalla famiglia Ziliani (Berlucchi), profonda conoscitrice delle dinamiche pavesi e nuovo, prestigioso protagonista di un territorio che, sino ad oggi, con le “scelte a metà” – quelle alla Tancredi nel Gattopardo – ha raccolto poco, anzi nulla rispetto al proprio potenziale. Perché non è detto che “piccolo è bello”. Ma che fascino provarci, se non hai (quasi) nulla da perdere.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.