Chi ha ucciso il vino Marsala? In Sicilia si cercano le risposte. Prima del rilancio

Tra le proposte c’è la restrizione della zona di produzione


MARSALA –
La crisi del vino Marsala sotto la lente di ingrandimento al convengo organizzato venerdì 14 giugno nella città più vitata della provincia di Trapani. Su invito del presidente Gaetano Vita sono intervenuti studiosi e operatori della cooperazione e delle imprese private, invitati allo storico Circolo Lilybeo.

Un evento moderato da Giacomo Manzo, responsabile regionale del dipartimento Viticoltura ed Enologia “Fare Ambiente” Sicilia. Tra gli interventi più appassionati quello del professor Nicola Trapani, che in apertura ha denunciato “il pericolo del settore vinicolo marsalese avviato alla quiescenza”.

Dito puntato sulla gran confusione che è stata creata negli anni attorno al vino Marsala. Ventinove diverse tipologie previste dal disciplinare (prima erano soltanto 4) e una “tangibile mancanza di conoscenza degli stessi abitanti della città”.

Motivi per i quali il professor Trapani ha chiesto al sindaco Alberto Di Girolamo, presente in sala insieme ai deputati regionali Eleonora Lo Curto e Stefano Pellegrino “di stampare del materiale per  promuovere la cultura del più famoso vino liquoroso”.

Ercole Alagna (Alagna Vini), nel corso della sua relazione su “La crisi del vino Marsala: debolezze e possibili prospettive per il rilancio”, ha posto l’attenzione sulla ricostruzione del Consorzio di Tutela di Marsala.

“Un ente – ha evidenziato Alagna – che in questa nuova fase ha posto tra i suoi obiettivi anche quelli di semplificare il disciplinare e restringere l’area di produzione oggi composto da 21 comuni”.

Un folto pubblico ha fatto da cornice all’evento in cui sono intervenuti anche i produttori e rappresentanti di diverse cantine siciliane: Stefano Caruso (Caruso & Minini di Marsala), Gianfranco Paladino (Alcesti di Marsala), Roberta Urso (Cantine Settesoli di Menfi), Gaspare Baiata (Cantine Paolini di Marsala), Giuseppe Monteleone (Cantine Birgi di Marsala).

Grazie ai loro interventi è stato possibile allargare il quadro allo stato di salute del vino siciliano. Tra le problematiche più pressanti, il cambiamento delle abitudini dei consumatori, la riduzione del consumo di vino e la resa dell’uva all’ettaro nazionale, ritenuta molto alta.

La proposta è quella di abbassarla, “per ridurre le eccedenze di vino e nel contempo innalzare il valore dello stesso – hanno evidenziato diversi relatori – visto che i consumi di vino pro-capite sono sempre in diminuzione”.

Ma si è anche affrontato il nodo di una “burocrazia regionale che rallenta e non aiuta” e del “fallimento del mondo cooperativo dopo gli anni d’oro Cinquanta e Sessanta”. Un tessuto imprenditoriale, quello del vino siciliano, “spesso usato come bacino elettorale e che oggi, nella maggior parte dei casi, è stato svilito dal suo significato”.

IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE
Le cantine sociali della Sicilia oggi risultano fortemente ridimensionate. Basti pensare che erano 251 nel 1985, di cui 125 solo in provincia di Trapani. Altri tempi per quella che, nonostante tutto, è la regione più vitata d’Italia, quarta per produzione dopo Veneto, Puglia ed Emilia Romagna.

Gli anni Ottanta e Novanta hanno rappresentato un crocevia importante per la viticoltura siciliana. L’Istituto Vite e Vino era fiorente e molte aziende, proprio in quel periodo, mettevano le basi per un successo che dura ancora oggi.

Dopo la debacle della cooperazione siciliana, dagli anni Novanta ai nostri giorni, sono cresciute le aziende a conduzione familiare che esportano in tutto il mondo come Caruso & Minini, Alcesti, Cantine Alagna.

Si consolidano alcune Cantine sociali locali, come Paolini e Birgi e Settesoli che vedono crescere il valore dell’imbottigliato. Cantine che guardano con attenzione al valore della sostenibilità ambientale e al risparmio energetico. Elementi indispensabili al fine di distribuzione reddito agli agricoltori.

“Il brand Sicilia è forte e la Doc isolana continua ad essere una grande risorsa – ha sottolineato Rino Bonomo, ex dirigente dell’Ente Sviluppo Agricolo di Marsala – ma ci sono ancora agricoltori che non fanno reddito. La speranza è la diversificazione, in un’isola che è naturalmente sostenibile e che ha tutte le opportunità per tornare ad essere vera protagonista”. Perché no? Ripartendo proprio dal famoso vino di Marsala.

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