Spinto dalla crescente attenzione dei consumatori verso l’agricoltura sostenibile e, forse, anche dalle pressioni interne dei secessionisti del Corpinnat, il Consejo Regulador del Cava ha annunciato una «svolta epocale» per i vini di punta della propria piramide qualitativa: a partire dal 2025, Reserva (minimo 18 mesi), Gran Reserva (minimo 30 mesi) e Cava de Paraje Calificado (minimo 36 mesi e provenienza da aree circoscritte) saranno al 100% certificati biologici.
Una conversione green che si aggiunge agli altri sforzi della Denominazione di origine per promuovere i propri spumanti Metodo classico di punta da lungo affinamento (per i Cava “base” bastano infatti 9 mesi): 10 anni di età minima dei vigneti, resa a 100 quintali per ettaro e menzione dell’anno di vendemmia in etichetta, nonché «tracciabilità rigorosa, garantita dalla vendemmia all’imbottigliamento».
Tutti questi provvedimenti – spiega Javier Pagés, presidente del Consejo Regulador dello spumante spagnolo – mirano a garantire la conservazione del territorio e il futuro del settore alle future generazioni, consolidando il trend crescente del vino biologico, che sta anche guadagnando di più importanza all’interno della nostra Denominazione di origine».
«Il Cava – continua Pagés – si sta evolvendo. Il numero di bottiglie di Cava biologico prodotte ha raggiunto oggi le 13.780.711 unità, pari a un 34,09% di Premium Organic Cava. Sappiamo che sia il consumatore che il mercato lo stanno esigendo, ma è anche una questione di conservazione del territorio».
COSA DICONO I NUMERI
I numeri del Cava, in realtà, dicono che la svolta green della piramide qualitativa è una goccia nell’oceano. Sono 38.151,74 gli ettari iscritti alla Do nel 2020, allevati da oltre 6.800 operatori, di cui 209 cantine e 143 produttori di vino base (da solo, il Grupo Codorníu Raventós di cui Javier Pagés è stato Ceo fino al 2018 – oggi al suo posto c’è l’ex manager Kellogg’s Sergio Fuster – produce l’80% delle bottiglie complessive).
Si tratta, di fatto, di uno “spumante nazionale”: solo il Corpinnat, brand collettivo riconosciuto dall’Ue dal 10 aprile 2018, garantisce l’origine dalla zona tradizionale della spumantistica spagnola, il Penedès (100% produzione bio).
Nel 2020 sono state certificate 215,566,954 bottiglie di Cava, un -13,62% rispetto al 2019 (249,544 milioni), di cui 20,052,096 di Rosé Cava. Al momento, il Cava certificato biologico è pari al 6,39% della produzione complessiva, ovvero 13,796,153 bottiglie sugli oltre 215 milioni complessivi.
Una cifra che si riduce ulteriormente se si considera il vertice della piramide qualitativa, ovvero le tre tipologie oggetto della svolta green. È biologico solo lo 0,02% del Cava de Guarda Superior Paraje Certificado, l’11,38% del Cava de Guarda Superior Gran Reserva e il 22,7% del Cava de Guarda Superior Reserva.
IL CONFRONTO 2019-2020
Che i produttori di spumante Metodo classico spagnolo stiamo comunque credendo nel biologico lo dimostra il confronto tra le cifre del 2019 e il 2020. Le bollicine bio complessivamente prodotte a cavallo dei due anni è calata solo dello 0.11%, mentre il “convenzionale” ha subito un -14,41% (201,786,243 contro 235,748,543).
Cava Reserva, Gran Reserva e Cava de Paraje Calificado riguardano rispettivamente lo 0,01%, il 10,18% e l’1,45% della produzione complessiva di Cava, assestandosi nel 2020 su un totale di 25.086.988 bottiglie (su 215 milioni totali).
Tra il 2019 e il 2020 ha subito un vero e proprio shock la miglior produzione assoluta della piramide qualitativa, il Cava de Guarda Superior Paraje Calificado, con un -58,87% (11,245 bottiglie contro 27,341).
Meno drastico il crollo del Cava de Guarda Superior Gran Reserva: -13,52% (3,129,826 di bottiglie nel 2020 contro i 3,619,281 del 2019). Giù del 18,24% anche il Cava de Guarda Superior Reserva, con 21,945,917 bottiglie sui 26,841,209 dell’anno precedente.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.