American Single Malt: i produttori chiedono un Disciplinare al Governo Federale

La categoria, in forte sviluppo negli Usa, necessita di regole chiare per il prodotto e per i consumatori

Non solo Bourbon e Rye. Anche se la maggior parte dei consumatori europei conosce il Whiskey “Made in the Usa” per l’uso di mais e segale, un numero in costante crescita di distillerie produce Single Malt americani. È la tipologia di whiskey in ascesa Oltreoceano, seppur non ancora riconosciuta dal Governo Federale degli Stati Uniti. Le cose potrebbero cambiare, dopo la richiesta di un disciplinare ad hoc.

Negli ultimi due decenni la curiosità che circonda il Single Malt americano e la mancanza di regole precise che ne definiscano le caratteristiche, ha incoraggiato molti distillatori che hanno perfezionato la loro abilità nell’uso dell’orzo. Sono nate diverse interpretazioni del Whisky Single Malt, generalmente considerate una fusione delle pratiche di distillazione scozzesi e americane.

Sono ormai 170 le “firme” degli American Single Malt, con una produzione che rappresenta solo una piccola percentuale rispetto a quella delle 120 distillerie scozzesi. Un segmento sempre più affollato, quindi, che si trova ora nella necessità di stabilire regole chiare (un disciplinare, per l’appunto) che diano un’identità univoca ad un prodotto nato e cresciuto fra le pieghe di una legislazione lacunosa.

LA RICHIESTA DI UN DISCIPLINARE
L’American Single Malt Whisky Commission (Asmwc), associazione di categoria che raccoglie la maggior parte dei produttori, ha inviato per la prima volta nel 2017 una proposta di disciplinare all’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau (Ttb) ma ad oggi le risposte dell’Ufficio per la Tassazione ed il Commercio sono state sconcertanti e contradittorie.

Alcune distillerie sono state autorizzate a mettere “American single malt whiskey” in etichetta, mentre ad altre è stato vietato. Alcuni produttori sono stati autorizzati ad invecchiare il proprio Whiskey in botti di rovere usato.

Ad altri, seguendo il disciplinare del Bourbon, è stato impedito. L’Asmwc è quindi recentemente tornata alla carica col Ttb per la creazione di un “insieme uniforme di standard ufficiali”, che diano coerenza al settore e trasparenza al consumatore.

In assenza di una chiara regolamentazione, molti produttori si attengono alla definizione di American Single Malt che dà l’Asmwc: Whiskey prodotto negli Stati Uniti in un’unica distilleria da 100% malto d’orzo, invecchiato in botti di legno non necessariamente di rovere nuove o usate, distillato ad alambicco discontinuo o a colonna ad un massimo di 160 proof (80% abv) e messo in barile ad un massino di 125 proof (62,5% abv).

Definizione che non solo lascia ampi margini alle aziende che possono utilizzare svariati tipi di legno – botti nuove di rovere, acacia, acero, botti usate di bourbon, sherry, sidro, pinot nero o altri vini, birra di ogni tipologia, botti carbonizzate o rigenerate con tecnica Str – ma che risulta anche lacunosa per alcuni aspetti. In primo luogo vi è un imposizione del limite massimo a 700 litri per le dimensioni delle botti, ma non vi è alcuna indicazione per il volume minimo.

Tra i favorevoli al disciplinare anche il master distiller Lance Winters di St. George Spirits di Alameda, in California, uno dei primi distillatori statunitensi a produrre Single Malt due decenni fa. Winters pone l’accento sul legno, che dovrebbe essere di dimensioni non inferiori ai 53 galloni (200 litri).

Inoltre preoccupa la mancanza di un’indicazione di età minima di invecchiamento, al punto che potenzialmente un distillatore potrebbe riempire una botte e svuotarla 15 minuti dopo imbottigliando il Whiskey come American Single Malt. Rischio non così remoto come può sembrare, basti pensare alla “fretta” che i giovani distillatori hanno di sviluppare un flusso di cassa che può spingerli verso tempi di invecchiamento insolitamente veloci danneggiando l’immagine della categoria.

NESSUNA IMPOSIZIONE SUL “GUSTO” DEL WHISKEY

Steve Hawley, presidente dell’Asmwc e direttore marketing per la Westland Distillery di Seattle, evidenzia come lo scopo delle regole proposte non sia quello di stabilire barriere, quanto invece quello di definire e far comprendere al mondo cosa sia il Single Malt statunitense. Hawley sostiene sia necessario dare una definizione specifica e significativa, lasciando spazio all’innovazione.

Secondo Jared Himstedt, Master Distiller di Balcones in Texas e grande sostenitore del terroir nel Whisky, la certificazione rafforzerebbe anche i tentativi dei produttori di ottenere uno spazio dedicato sugli scaffali al dettaglio in un ottica di trasparenza per il consumatore.

Ciò nonostante, alcuni produttori preferiscono muoversi al di fuori delle regolamentazioni, come nel cado di Woodford Reserve che chiama “Kentucky straight malt whiskey” (Whiskey di puro malto del Kentucky) il suo Spirit ottenuto con il 51% di malto, il 47% di mais ed il 2% di segale.

Ci vorrà del tempo prima che il Ttb, notoriamente lento ed intrappolato fra interessi diversi e a volte contrastanti, definisca un disciplinare. Ma chi produce Whiskey, si sa, è ben predisposto all’attesa.

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