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Nebbiolo Noblesse, gli spumanti autoctoni piemontesi in degustazione a Torino ed Alba

Torna Nebbiolo Noblesse, l’appuntamento dedicato alle nobili bollicine del Piemonte. Dopo il successo dell’anno scorso, l’edizione 2018 si sdoppia con due date: la prima lunedì 18 giugno al Palazzotto, in centro a Torino, in Via Mazzini 43 e la seconda lunedì 25 giugno al Palazzo Banca d’Alba (via Cavour 4, Alba).

Saranno ventuno i produttori di Piemonte e Valle d’Aosta coinvolti: dalle Langhe a Gattinara, da Acqui Terme ad Arnad, fino al Biellese tutti condividono la passione per le bollicine autoctone a base di uva nebbiolo. La novità è che in degustazione ci saranno solo spumanti Metodo Classico prodotti al 100% Nebbiolo.

«È stata una scelta condivisa da tutto il gruppo – spiegano i produttori di Nebbiolo Noblesse – l’obiettivo è di esprimere al meglio la versatilità del Nebbiolo che si presta bene alla produzione dei grandi rossi, dal Barolo al Barbaresco, dal Roero al Gattinara, fino al Lessona e al Carema, ma anche alla spumantizzazione».

Quest’anno partecipano nuove aziende che hanno iniziato a spumantizzare il nebbiolo, una pratica che in Piemonte è in uso fin dall’800. Il primo documento è datato 1787: si tratta di un resoconto sulla visita a Torino del presidente americano Thomas Jefferson che “alloggiando all’hotel Angleterre beve vino rosso di nebbiolo, trovandolo vivace come lo Champagne”.

Otto anni fa, nel 2010, un gruppo di aziende ha lanciato il progetto Nebbione: un metodo classico 100% nebbiolo che riposa 45 mesi sui lieviti. Anche loro fanno parte di Nebbiolo Noblesse. Oggi la produzione di bollicine di Nebbiolo si attesta intorno alle 200 mila bottiglie all’anno.

In entrambi gli appuntamenti, a Torino e ad Alba, la prima parte della giornata sarà dedicata a ristoratori, enotecari, giornalisti, sommelier e operatori professionali (ore 12-18) con degustazioni di formaggi piemontesi: Bra e Raschera. Dalle 18 alle 22 a Torino e dalle 18 alle 20 ad Alba, è apertura al pubblico con un biglietto a 25 euro che comprende assaggi liberi e una proposta di aperitivo in bolla.

Anche quest’anno i produttori di Nebbiolo Noblesse chiedono ai ristoratori locali di scommettere con loro e di inserire nella loro carta vini una pagina dedicata alle bollicine di Nebbiolo: “Chiediamo di mettere in carta almeno 6 etichette di spumante locale a base nebbiolo. Metteremo a disposizione dei ristoratori una logistica che permetterà loro di acquistare le bottiglie quando e quante ne avranno bisogno”.

Partner dell’evento sono: la Banca d’Alba, Langhe Tv per le foto e i video, i Consorzi del Bra, del Raschera e Joinfruit, Rastal Italia per la fornitura di bicchieri, gli Stralli di Fermo (un “grissino” schiacciato preparato con kamut o farro biologico che viene prodotto dall’azienda Fermo di Neive), la location Il Palazzotto di Torino e Acquaviva Italia per la fornitura dell’acqua.

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Arnad, oltre al lardo c’è di più: lo Chardonnay della Cooperativa La Kiuva

Grasso che cola. E per una volta non è quello dell’unico lardo a Denominazione d’origine protetta d’Italia. Ad Arnad, villaggio di 1.300 anime della bassa Valle D’Aosta, protetta da una gincana di stradine strette che conducono sulla riva di un torrente, opera la società cooperativa La Kiuva. Frazione Pied de Ville, civico 42, per i pignoli. Trecentosessantuno metri sul livello del mare, per i curiosi. E uno Chardonnay da far invidia alle più prestigiose case vitivinicole italiane, per chi mastica pane e vino. Sabrina Salerno e Jo Squillo per la colonna sonora: qui, ad Arnad, canterebbero che “oltre al lardo c’è di più”. Lo sa bene Ivo Joly, 43 anni, il dinamico presidente de La Kiuva. Una cooperativa che, oltre a competere con le prestigiose realtà private del vino valdostano, si è ormai inserita nel business della ristorazione, servendo menu a base di prodotti tipici proprio sopra i locali adibiti a cantina. Per trovare l’eccellenza vera, basta spostarsi nell’ampio wine store dotato di un moderno bancone per la degustazione dei vini. E chiedere uno Chardonnay. Anzi, due. La Kiuva produce infatti uno Chardonnay “base”, che definire “base” non si può. E un secondo, affinato in barriques: altro calice con cui varrebbe la pena di fissare un tête-à-tête. Prima o poi, nella vita.

Di colore giallo paglierino mediamente carico, lo Chardonnay La Kiuva presenta al naso note di frutta fresca a polpa bianca e gialla. Il caratteristico richiamo esotico all’ananas fa spazio con l’ossigenazione a sentori grassi, tipici del burro di montagna spalmato sul pane croccante. Una sorta di contrasto dolce-salato che si fa solido nel suo materializzarsi concreto. Preannunciando una beva di grande mineralità, struttura e persistenza. Per una “base” che “base” non è, come annunciato. Ed è questo il punto di partenza (d’eccezione) dell’altro capolavoro della cooperativa: lo Chardonnay barrique La Kiuva. Con la sua beva sapida e minerale resa ancora più morbida e rotonda dal legno cui è affidato l’affinamento del prezioso nettare, in grado di conferirgli inoltre un’apprezzabilissima vena balsamica. Vini che, bevuti giovani o più maturi (il barrique è un vendemmia 2011 perfettamente in auge), offrono il meglio dell’accoppiata costituita da terroir ed escursione termica, in questo angolo di Valle d’Aosta reso grande da Madre Natura. Lo stesso si può dire del Muller Thurgau, che sfodera senza ritegno una spalla acida invidiabilissima e una mineralità accentuata, ben calibrata con la piacevolezza delle note fruttate fresche. Meno significativi Pinot Gris e Petite Arvine, proposti in apertura di degustazione. Nettari comunque in grado di comunicare, seppur in maniera più soffusa, le peculiarità del marchio La Kiuva.

SPUMANTI E VINI ROSSI
Non mancano, per gli amanti delle bollicine, due metodo classico come il Seigneurs de Vallaise – 40% Chardonnay, 30% Pinot Noir e 30% Pinot Gris – dal perlage accattivante al palato e dal buon corpo (forse un po’ a discapito delle note fruttate) e l’ancora più interessante Traverse La Kiuva, spumante ottenuto al 100% da uve Nebbiolo. Quaranta mesi minimo di permanenza sui lieviti che conferiscono a questo “rosè” sentori di agrumi e crosta di pane, oltre agli accenni immancabili a piccoli frutti a bacca rossa. In bocca colpisce la gran sapidità, che gioca sottile su note eleganti di lime e pompelmo, nonché su una linea (rieccola) vagamente balsamica che richiama la mentuccia. Un corpo e una sostanza diversa da quella dei Nebbiolo rosé prodotti nel vicino Piemonte (per esempio nella zona di Ghemme, Novara), forse per quel calore nella beva espresso dai 13,5 gradi di percentuale d’alcol in volume. Capitolo rossi della Cooperativa La Kiuva di Arnad? A spiccare su tutti, ma agli antipodi tra loro, sono il Nebbiolo Picotendro e l’Arnad Montjovet Superior. Un Nebbiolo da assaporare giovane, il primo, che nel calice si mostra d’un rosso rubino intenso e che al naso evidenzia note di lamponi, fragoline di bosco e more mature. Corrispondente al palato, risulta morbido e avvolgente e dal tannino delicato, che ha comunque bisogno di qualche minuto per slegarsi completamente e conferire una dignitosissima eleganza alla beva. Ma se il Picotendro della Cooperativa La Kiuva è ottenuto mediante macerazione prefermentativa a freddo di 3-4 giorni e fermentazione a 30-32°, con macerazione delle bucce per 5/7 giorni e svinatura dolce, più complessa è l’elaborazione del Valle d’Aosta Doc Arnad Montjovet Superior. Vino rosso top di gamma de La Kiuva, è costituito da un 70% minimo di Nebbiolo, cui vengono aggiunti Gros Vien, Neyret, Cornalin e Fumin. La vinificazione è tradizionale, a cappello emerso, con lunga macerazione delle vinacce: sino a 15-20 giorni, a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Fondamentale l’affinamento in legno per un periodo tra i 10 e i 12 mesi, cui vanno a sommarsi altri 6 mesi di maturazione in bottiglia, prima della commercializzazione. Un vino che nel calice si mostra d’un rosso rubino con riflessi granati, dal quale si sprigionano eleganti note fruttate (confettura), balsamiche e speziate. In bocca esprime tutta la potenza elegante del Nebbiolo: misurate ma intense le note balsamiche e speziate che ritornano anche al palato. E di nuovo un’accentuata sapidità, che chiama il sorso successivo. Solo cinquecento le bottiglie prodotte mediamente ogni annata, numero che sale a 5 mila per la “base” (che “base” non è).

“VIGNAIOLI PER PASSIONE”
Curioso scoprire dopo la degustazione che La Kiuva, nonostante il buon livello dei vini prodotti, costituisca l’attività “secondaria” dei quaranta soci della Cooperativa. “La maggior parte di noi – spiega il presidente Ivo Joly (nella foto) – non è dedita alla produzione di vino a tempo pieno. Si tratta di un’attività collaterale, affiancata a quella principale che può essere nel ramo dell’agricoltura o dell’artigianato. La sede principale è stata edificata nel 1975, una delle prime cantine concepite dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta. I primi conferimenti di uve e dunque la prima  vinificazione risalgono al 1979″. Dal 2008, anno nel quale La Kiuva ha deciso di produrre lo spumante metodo classico 100% Nebbiolo, la coop ha ridato vita ad alcune cantine storiche dislocate sul territorio di Arnad, oggi utilizzate principalmente come luogo per lo stoccaggio del vino in maturazione. “La sfida per il futuro – dichiara ancora il presidente Ivo Joly – è quella di offrire un prodotto che risulti concorrenziale sul mercato. Abbiamo prodotti di nicchia dei quali vantarci, capaci di conquistare anche mercati diversi da quello italiano. Esportiamo già negli Usa 20 mila bottiglie delle 100 mila prodotte complessivamente. L’interesse è crescente all’estero, sia sui vini da tavola sia sul nostro Picotendro. Sarebbe interessante, quindi, riuscire a consolidare ulteriormente la nostra presenza in Italia. Magari puntando tutto sul nostro Traverse. Superficie e potenzialità per incrementare ulteriormente la produzione ci sono – conclude Joly – ma dobbiamo innanzitutto tener conto della nostra realtà, tutto sommato giovane e costituita, appunto, da vignaioli per passione, più che per professione”. Basti pensare che, fino a 10 anni fa, i vigneti che conferivano alla Kiuva erano ancora a pergola. Oggi solamente filari. Splendidi. Pronti a perdersi, a vista d’occhio, con le montagne a fare da sfondo. O magari all’ombra del Forte di Bard. Tra i 13 ettari vitati che vanno da Hone a Montjovet.

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