Il Cava spagnolo, croce e delizia di se stesso, brinda al Meeting 2025

Al mondo non c’è denominazione più contraddittoriamente dinamica del Cava spagnolo. In nessun altro territorio vitivinicolo la tensione tra passato e futuro, tra industria ed artigianalità, tra identità e mercato di massa, si manifesta con tanta evidenza come tra le colline della Catalogna – o, meglio, del Comtats de Barcelona, dove si concentra oltre il 90% della produzione – e delle altre zone autorizzate alla produzione dello spumante spagnolo per eccellenza (Ebro Valley, Viñedos de Almendralejo e Altos de Levante).

Il Cava è nato come omaggio allo Champagne, grazie a pionieri come Josep Raventós Fatjó della casa spumantistica Codorníu, che visitò la regione francese tra il 1860 e il 1870. Ma nel tempo è diventato un fenomeno a sé. Un simbolo della capacità iberica di reinterpretare il modello francese, con spirito mediterraneo. Tuttavia, il successo commerciale del Cava – spesso legato a prezzi accessibili e volumi imponenti – ha finito per offuscare la sua anima più autentica.

Quella fatta di terroir, piccoli produttori e ricerca qualitativa. Ed è proprio su questo senso di rivalsa che si è concentrato il dibattito del Cava Meeting 2025, l’evento biennale più importante della denominazione spagnola, organizzato dal Consejo Regulador del Cava a Sitges, dal 9 all’11 novembre.

CAVA: LE NUOVE GENERAZIONI CHIEDONO IDENTITà E AUTENTICITà

È il segnale che negli ultimi anni qualcosa sta cambiando nella Denominación de Origen Protegida de ámbito territorial supraautonómico. Le nuove generazioni di vignaioli hanno iniziato a rivendicare la propria identità, puntando su singole parcelle, vitigni autoctoni e sostenibilità, che si spinge sovente nella viticoltura biodinamica, peraltro con ottimi risultati.

L’emergere di realtà indipendenti dal Consorzio come Corpinnat o Clàssic Penedès hanno spinto il Consorzio guidato da Javier Pagés in acque burrascose, dalle quali il board sta provando a uscire promuovendo progetti di zonazione, esaltazione dei produttori di filiera (gli Elaborador Integral), spumanti da singoli cru (i Cava de Paraje Calificado, con affinamento minimo di 36 mesi) e produzione biologica obbligatoria per altri vini top di gamma, come i Cava de Guarda Superior (affinamento minimo 18 mesi per i Reserva e di 30 mesi per i Gran Reserva).

A determinare questi passi avanti, oltre alle pressioni interne, è anche la crescente attenzione del pubblico internazionale, capace di ridisegnare la mappa e le strategie delle bollicine spagnole. Su più fronti.

IL CAVA SPAGNOLO TRA QUANTITà E QUALITà

Proprio in questo dualismo tra mercato interno e internazionale, l’immagine dello spumante iberico che esce dal Cava Meeting 2025 è quella di una denominazione che cerca di riconciliarsi con se stessa. E di imparare a convivere con i propri spettri. Il Cava vuole restare popolare, forte di uno dei suoi imprescindibili plus: la versatilità. Ma la bollicina spagnola vuole anche ambire all’eccellenza. Intende continuare a parlare al grande pubblico. Ma senza rinunciare alla profondità del racconto territoriale.

In questo equilibrio – parso in verità a tratti precario – tra quantità e qualità, puro marketing e autenticità, il Cava si conferma la denominazione più contraddittoriamente dinamica del panorama mondiale. Ed è proprio da questa contraddizione che nasce la sua forza: quella di un vino che non smette mai di interrogarsi. Cambiare, evolversi. Una denominazione viva e fiera. Come la terra da cui proviene.

Il tutto a fronte di numeri che parlano chiaro: 37.502 ettari di vigneto complessivi, 219,5 milioni di chilogrammi di uva prodotti e 218,1 milioni di bottiglie vendute nel 2024 (-13,39% sul 2023, segnato da un drammatico crollo del mercato tedesco: -63,9%). Solo 37,297 milioni di bottiglie le bottiglie di Cava biologico prodotte lo scorso anno (+15,23% rispetto al 2023, 17,1% del totale Cava), numero destinato comunque a crescere a partire dal 2026.

IL NODO DEI VITIGNI INTERNAZIONALI

C’è poi il nodo dei vitigni internazionali, mai così centrale nelle scene spumantistiche a caccia di rivalsa e considerazione, fenomeno di cui l’Italia non è scevra (il riferimento all’Oltrepò pavese è voluto). Pinot (2,2% della superficie vitata) e Chardonnay (7%) hanno trovato spazio crescente nei vigneti del Cava a partire dagli anni Ottanta, quando la denominazione cercava di avvicinarsi ulteriormente al modello francese dello Champagne.

L’obiettivo era quello di rendere il vino più riconoscibile sui mercati esteri, costruendo un profilo elegante universale. Ma in questo processo il Cava ha finito per perdere parte della propria autenticità. Un aspetto che si trascina ancora sino ad oggi, reso evidente dalla maggior parte degli assaggi del Cava Meeting 2025 in cui gli internazionali risultavano mescolati agli autoctoni, prevalenti o protagonisti solitari.

COME UCCIDERE L’IDENTITà MEDITERRANEA DEL CAVA: CHARDONNAY E PINOT NERO NEL CAVA

Nelle cuvée moderne del Cava, lo Chardonnay apporta morbidezza e note burrose e viene utilizzato per conferire maggiore immediatezza, sin dai primi anni di vita del Cava, una volta immesso sul mercato. Il Pinot Nero regala invece struttura e colore ai Cava Rosé (18,047 milioni le bottiglie realizzate nel 2024). Ed è un’alternativa – o spesso il braccio destro – di Garnacha tinta, Monastrell e Trepat, varietà autoctona – quest’ultima – della Conca de Barberà (Catalogna).

Due vitigni nobili, quelli che portano alla memoria lo Champagne. Ma estranei al paesaggio e alla memoria storica del Penedès, a meno che non si considerino “storia” gli anni Ottanta. La loro presenza nelle cuvée finisce generalmente per diluire il carattere che distingue il Cava, fondato su un eccellente – ed identitario, questo sì – equilibrio salino, agrumato e spiccatamente mediterraneo di Macabeo, Xarel·lo e Parellada.

Il terreno ricco di vene calcaree e il clima secco del Penedès, capaci di restituire freschezza e tensione minerale, restano la vera cifra stilistica del Cava. Quella da difendere e da promuovere. Per continuare a credere che il Cava possa essere “anche”, e non “solo”, lo spumante metodo classico che costa “come”, oppure “meno”, di un comune Prosecco Doc. Un dualismo in cui si può continuare a vivere e sopravvivere, contraddittoriamente dinamici come nessuno al mondo. O morire, senza un’identità definita che un giorno – c’è da scommetterci – chiederà il conto. Più salato che sapido.

Produzione, vendite e struttura del settore
  • 5.874 aziende viticole registrate
  • 37.502 ha di vigneto
  • 219,5 milioni kg di uva
  • 218,1 milioni di bottiglie vendute (-13,39% sul 2023)
  • 200 produttori di Cava
  • 37,297 milioni di bottiglie di Cava biologico
  • 18,047 milioni di Rosé
Registri viticoli: Vitigni principali
  • Macabeo: 36,6%
  • Xarel·lo: 26,3%
  • Parellada: 19,2%
  • Chardonnay: 7%
  • Pinot Noir: 2,2%
    Altri vitigni hanno incidenze minori.
  • La superficie vitata complessiva è stabile (37.502 ha), con trend leggeri ma costanti di crescita nel decennio.
Mercati: Ripartizione vendite globali 2024
  • Mercato domestico: 35,78%
  • Mercato estero UE: 34,51%
  • Mercato estero extra-UE: 29,71%
Principali Paesi importatori
  1. Belgio – 20,357m bott.
  2. USA – 17,848m
  3. UK – 15,725m
  4. Svezia – 12,531m
  5. Germania – 11,235m (crollo del 63,9%)
  6. Crescono Giappone, Paesi Bassi, Estonia, Messico, Cina, Paesi dell’Est Europa.
Categorie di Cava
  • Cava de Guarda: 89,73%
  • Guarda Superior Reserva: 8,44%
  • Guarda Superior Gran Reserva: 1,82%
  • Paraje Calificado: 0,01%
  • Il segmento premium e biologico è quello in maggiore crescita.

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