«No Alcool, No Party», sentenza UE vieta la dicitura “Gin” per le bevande analcoliche

IN BREVE
  • La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che una bevanda analcolica non può essere commercializzata come ‘Gin’.
  • Il termine ‘Gin’ è riservato ai prodotti alcolici con un titolo minimo del 37,5% e aromatizzati con bacche di ginepro.
  • La decisione non limita la libertà d’impresa, ma cerca di evitare confusioni per i consumatori e garantire trasparenza.
  • La sentenza segue precedenti interventi dell’Unione Europea su termini riservati per alternative vegetali alla carne e prodotti lattiero-caseari.
  • Per il settore degli Spirits e le bevande NOLO, questa sentenza potrebbe richiedere nuove strategie comunicative e redefinizioni dei nomi.

Una bevanda analcolica non può essere commercializzata come “Gin”. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-563/24, che vedeva contrapposta un’associazione tedesca per la lotta alla concorrenza sleale alla società PB Vi Goods, produttrice della bevanda “Virgin Gin Alkoholfrei“. I giudici hanno ricordato che la denominazione “Gin” è riservata per legge a un prodotto alcolico ricavato da alcol etilico di origine agricola aromatizzato con bacche di ginepro e con un titolo minimo del 37,5%. Un prodotto analcolico non soddisfa, pertanto, i requisiti di legge.

LA CORTE: NESSUNA VIOLAZIONE DELLA LIBERTÀ D’IMPRESA

La Corte ha precisato che il divieto non incide sulla libertà d’impresa prevista dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. La società resta libera di commercializzare la bevanda, ma non può utilizzare una denominazione giuridicamente riservata. L’obiettivo è evitare confusioni sulla natura del prodotto e garantire trasparenza al consumatore.

La decisione arriva dopo il recente intervento dell’Unione Europea sulle alternative vegetali alla carne. L’emendamento aveva infatti vietato l’uso di terminologie “meat sounding” per i prodotti vegetali, riservando l’uso di parole come “burger”, “salsiccia”, “bistecca” ai soli prodotti di origine animale. Anche in questo caso l’obiettivo è proteggere il consumatore da confusione e tutelare l’autenticità dei prodotti a base di carne. Divieto già precedentemente in essere per le denominazioni tipiche dei prodotti lattiero-caseari come il latte per prodotti a base vegetale ad esempio (niente “latte di soia”, per intenderci).

UNA LINEA CULTURALE OLTRE IL CONTENZIOSO

Il verdetto segna anche una posizione culturale: nell’epoca delle alternative e delle rivisitazioni, l’Unione Europea ribadisce che sul piano normativo le parole definiscono identità e confini. Resta da capire quanto rapidamente la decisione produrrà effetti e se sarà estesa a tutto il settore degli Spirits. Per il settore delle bevande NOLO (No & Low Alcool), oggi in forte crescita, questa sentenza potrebbe costringere i produttori a ripensare e ridefinire nomenclature. packging e strategie comunicative.

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