IN BREVE
- Il libro “La Molecola della Civiltà” di Francesco Sorelli esplora il vino attraverso storia, mito e bellezza, coprendo un percorso di 8000 anni.
- Sorelli, già direttore e ambasciatore del Consorzio Chianti Rufina, descrive il vino come riflesso della condizione umana.
- L’opera affronta anche il tema dell’abuso di vino, mostrando il suo lato potenzialmente distruttivo.
- La prefazione di Attilio Scienza sottolinea la ricchezza culturale del volume, definendolo un “unicum” che mescola diversi ambiti del sapere.
- Il libro invita a riflettere sull’importanza di condividere un bicchiere, come gesto di armonia e consapevolezza nella vita.
Esce «La Molecola della Civiltà – il viaggio del vino fra storia, mito e bellezza», nuovo libro di Francesco Sorelli, direttore e ambasciatore Consorzio Chianti Rufina, ma anche autore e divulgatore, edito da Davide Falletta Editore. Il volume racconta un percorso che parte dal Caucaso, ovvero dalle origini della viticoltura, e arriva ai calici contemporanei. Un viaggio lungo ottomila anni, ricostruito attraverso storia, antropologia, letteratura, religioni e arte.
La narrazione si avvolge «come gli intrecci di un fiasco e le onde ipnotiche e carezzevoli di un rosso». Il libro attraversa Noè, gli Etruschi e il sangue-vino delle divinità antiche, il simposio greco e i monasteri medievali, fino alle icone del cinema. L’idea chiave è che nel vino si rifletta la condizione umana: ricerca della bellezza e timore della morte, desiderio di comunità e solitudine, coscienza e mistero.
L’immagine di copertina – una figura che si tuffa in una nube color vino – richiama l’immersione totale nel liquido che accompagna la nascita della civiltà. Secondo l’autore, il vino non è soltanto un prodotto agricolo. È un mezzo per comprendere «le luminose possibilità dell’Uomo di determinare la propria felicità».
IL VIAGGIO DEL VINO DA GILGAMESH A NOÈ
Sorelli ricorda che «sono 8000 anni che l’uomo – e la donna – bevono vino insieme». Prima della scrittura, l’umanità «già pigiava l’uva con l’intento di creare una bevanda magica che allietasse i dolori della vita» e aprisse uno spiraglio sul sacro.
Un capitolo centrale è dedicato all’«Epopea di Gilgamesh», inciso in caratteri cuneiformi in Mesopotamia circa 4000 anni fa. Nel momento di maggiore smarrimento, l’eroe incontra la dea del vino Sidduri. Il suo ammonimento diventa il filo conduttore del libro: «Gilgamesh, dove stai correndo? Non troverai quello che cerchi! Quando gli dei hanno creato gli uomini, hanno stabilito per loro la morte. Quindi Gilgamesh, banchetta e riempi il tuo corpo di cibo delizioso. Salta e divertiti giorno e notte. Indossa abiti puliti, lavati la testa e immergiti nell’acqua. Guarda il bambino che ti tiene per mano e sii felice. E fai felice tua moglie nel tuo abbraccio! Perché anche questa è la sorte dell’uomo».
Per Sorelli questo è «un messaggio potentissimo». Un invito a rallentare, utile anche per chi oggi affronta ciò che molti definiscono «una tempesta perfetta» del settore. L’autore confessa di essersi «aggrappato» a quelle parole in momenti difficili. Nell’introduzione compare anche un richiamo a «supercalifragilistichespiralidoso». Per i fratelli Sherman significa «educarci alla possibilità di insegnare la delicata bellezza». La bellezza non rimuove le brutture, ma le addomestica attraverso immaginazione, amore e convivialità.
LA DOPPIA ANIMA DELLA “MOLECOLA DI CIVILTÀ”
«L’ubriacatura, il consumo irresponsabile, è un altro punto chiave dell’opera». Il vino, scrive Sorelli, «esattamente come l’umanità», non incarna solo aspetti positivi. È una bevanda alcolica e può essere «potenzialmente distruttiva, soprattutto se consumata nell’eccesso e in solitaria».
Il libro racconta episodi che mostrano questo “doppio”. Dal demone Akratos, «quello del vino non condiviso», all’ubriacatura di Noè dopo il diluvio. Dai «barbari» schiavi del vino alle vicende di Lot. È il rovescio di una molecola capace di farci sentire «divini, eterni, compiuti, felici», ma anche di far precipitare «negli abissi della psiche e negli stati allucinati della coscienza».
L’autore richiama la lettura nietzscheana dell’essere umano, diviso tra Apollineo e Dionisiaco, misura e caos creativo. Un dualismo che vale anche per il vino: può elevarsi «nel sublime dell’arte e della poesia» o precipitare nei misfatti.
Questa tensione permanente è il motore del racconto. Il vino è «pilastro di cultura popolare». E, allo stesso tempo, rischio di perdita. Il lettore è guidato in un viaggio che «si dipana nel tempo come gli intrecci di un fiasco e le onde ipnotiche e seducenti di un rosso nel calice». Alla ricerca di una «aggraziata bellezza» che aiuti a decifrare l’esistenza.
TRA ARTE, SCIENZA E NARRAZIONE
La prefazione è firmata da Attilio Scienza. Il docente definisce il volume «una miniera inesauribile di fatti, eventi, persone, divinità, eroi, opere d’arte, rimandi letterari e poetici». Il libro è per lui un «caleidoscopio» utile per osservare progressi scientifici, sociali e culturali e comprendere la centralità del vino.
Scienza lo descrive come «un’opera fuori dagli schemi». La struttura non segue i canoni della trattazione storico-letteraria. Alterna filosofia, storia dell’arte, enografia, mitologia, scienze sociali e storia delle religioni. È, secondo lui, «un unicum volutamente antididascalico» fondato sulla narrazione e sull’intuizione.
Il professore sostiene che, nell’epoca dell’«analfabetismo emotivo» e dell’«informazione liquida», il vino possa ancora «insegnarci a sentire». A riconoscere le radici, celebrare la comunità, rinnovare il senso di fraternità. La civiltà del vino è descritta come «una forma d’arte, un linguaggio della bellezza, un esercizio di armonia e di convivialità».
FRANCESCO SORELLI E IL SUO SGUARDO SUL VINO
Nell’introduzione de «La Molecola della Civiltà – il viaggio del vino fra storia, mito e bellezza», Sorelli racconta un incontro inatteso con il vino. Gli ha permesso di riscoprire l’olfatto, senso «quasi atrofizzato» nella vita moderna. Gli ha insegnato il valore del viaggio e dell’incontro con altre culture. «La Molecola della Civiltà» è proposta come un’opera destinata a lettori di vino e non solo.
Invita a guardare al calice come chiave interpretativa della storia umana. Una chiave che richiede consapevolezza: capacità di unire e generare bellezza, ma anche attenzione ai rischi di abuso. Un viaggio che suggerisce di rallentare e tornare a sentire la pienezza della vita in un gesto semplice: condividere un bicchiere.






