Il vino può costare così poco Se è industriale, sì. Ecco perché guida vini al supermercato winemag vinialsuper vademecum

Il vino può costare così poco? Se è industriale, sì. Ecco come e perché

Breve e schematico vademecum dalla nostra Guida ai vini in vendita al supermercato. Ecco cosa rispondere, d’ora in avanti, alla solita tiritera: «Tappo, vetro, bottiglia, etichette e cosa bevi? Polverine?».

Una bottiglia di vino venduta a 1,79 euro al supermercato può generare margini di guadagno lungo la filiera, grazie a una combinazione di fattori estremi che comprimono i costi in ogni anello. Si tratta quasi sempre di un equilibrio molto fragile, ma pur sempre di un equilibrio, cavalcato da grandi gruppi produttori di vino industriale. Quindi, una bottiglia di vino può costare così poco? La risposta è sì. La caccia alle streghe o alle scie chimiche non serve. E qui vi spieghiamo, sinteticamente e schematicamente, come può accadere.

  • Il vino venduto a quel prezzo proviene quasi sempre da produzioni industriali su vasta scala.
  • Le uve sono raccolte con mezzi meccanici, da vigneti ad alta resa, spesso in zone dove il costo della terra, della manodopera o della lavorazione meccanizzata del vigneto è molto basso (alcune zone d’Italia, Spagna, Sud della Francia ed Est Europa, per citare solo alcune aree).
  • I costi per ettaro sono abbattuti al minimo, così come la qualità dell’uva. Si ricorre poi a correzioni (legali e legittime) in cantina.
  • Le cantine che producono questi vini adottano processi industriali ottimizzati: vinificazione in grandi vasche inox, senza invecchiamenti costosi.
  • Potenziale uso massiccio di additivi enologici, per rendere il vino stabile e bevibile in tempi rapidissimi.
  • Bottiglie leggere, tappi economici, etichette minimali.
  • Tutto è pensato per ridurre il costo a bottiglia anche sotto i 30-40 centesimi.
  • I volumi movimentati sono enormi, e i grandi distributori abbattano i costi unitari grazie a economie di scala.
  • Il vino può arrivare già confezionato o sfuso e imbottigliato localmente.
  • Il supermercato può usare la bottiglia di vino come prodotto civetta per attrarre clienti.
  • Oppure si accontenta di margini molto bassi (per esempio 5-10 centesimi a bottiglia), compensati però dalle quantità vendute. Questa logica è la stessa di altri prodotti di fascia bassa, entry level, primo prezzo.
  • Il produttore guadagna solo se lavora su volumi enormi e ha costi bassissimi. I margini per bottiglia sono minimi.
  • L’intermediario o il distributore può spuntare un margine solo se compra a prezzi stracciati e muove grandi quantità.
  • Il supermercato può accettare di guadagnare pochissimo su quella bottiglia, puntando sui volumi e su prodotti a più alta marginalità, nel carrello del consumatore. Lo “scontrino medio”, del resto, è una somma di tutti questi fattori e di loghi che corrono dall’entry level a prodotti con buone marginalità, come tech e profumeria.
  • Compressione estrema della qualità.
  • Investimento su territorio e sostenibilità pressoché azzerati, ma non è questo lo scopo del vino in questione.
  • Modello di filiera orientato alla quantità, più che alla qualità.

Come già precisato, è un modello valido solo per i grandi gruppi industriali. Non è sostenibile per i vignaioli, artigiani del vino o viticoltori indipendenti. Né per chi lavora con attenzione sartoriale sulla propria produzione e sul proprio parco vigneti. Difficile, con queste premesse, promuovere una cultura del vino fondata su identità e terroir. Ma il vino non è solo questo.

Il vino è anche – per certi versi soprattutto – un’industria che ha regole tipiche dell’industria. E dunque i costi, ottimizzati, del sistema industriale, capaci di comprimere ogni costo e di generare margini – pur minimi – lungo la filiera. Anche quando la bottiglia di vino costa 1,79 euro al consumatore finale.

DATI E STUDI PER COMPRENDERE I VERI COSTI DI PRODUZIONE DEL VINO

La risposta si basa, oltre che sulla nostra esperienza quotidiana e ormai decennale con la rubrica Vini al Supermercato, su un insieme di autorevoli organismi del settore, dati economici pubblici e analisi sui modelli di business applicati al comparto vinicolo. I dati economici e strutturali provengono principalmente da OIV – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, che nei suoi Statistical Report on World Vitiviniculture raccoglie informazioni su costi di produzione, superfici vitate, rese per ettaro, consumi e prezzi medi internazionali del vino.

ISMEA – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare fornisce invece un quadro aggiornato e dettagliato del contesto italiano, distinguendo le voci di costo per ettaro e per bottiglia tra produzioni industriali e artigianali, attraverso il suo rapporto annuale e aggiornamenti periodici. Eurostat completa il quadro con i dati sui prezzi medi di vendita del vino nei supermercati dei Paesi europei.

IL VINO PUÒ ESSERE (ANCHE) MOLTO ECONOMICO: BASTA CACCIA ALLE STREGHE

Per quanto riguarda la distribuzione e l’analisi di filiera, le principali fonti sono i report di NielsenIQ e IRI, che analizzano l’andamento delle vendite nella Grande distribuzione organizzata (Gdo), evidenziando prezzi medi, volumi e quote di mercato, in particolare per le fasce low-cost. Wine Intelligence e IWSR contribuiscono con studi qualitativi sul comportamento del consumatore, nonché sulla percezione del valore e sulle strategie di pricing adottate dai produttori vinicoli.

Un insieme di fonti che consente di rispondere alla domanda: “Il vino può costare così poco?“. Un’analisi articolata e approfondita dell’intero ecosistema del vino, dai costi di produzione alla vendita, è possibile. Anzi sarebbe utile, soprattutto tra i professionisti del settore, divisi nell’atavica e ormai anacronistica lotta tra Gdo e Horeca. Soprattutto per mettere fine a una ridicola caccia alle streghe.

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