Perché non dobbiamo avere paura del vino della Cina. Assicura Great Wall Wine

Dalla prowein trade fair 2019 indicazioni incoraggianti (per l’occidente) da un manager del colosso cinese


DÜSSELDORF –
Due motivi e una speranza, per non avere paura del vino della Cina. Dalle parti di Pechino il vino è “uno status symbol“. Roba da ricchi, un po’ come le auto negli anni del boom economico. Impossibile concepirlo come un qualsiasi prodotto di largo consumo.

Secondo: i costi di produzione sono più alti rispetto ad altri Paesi industrializzati. Ecco dunque la speranza: che il manager di Great Wall Wine interpellato da WineMag.it alla Prowein Trade Fair di Düsseldorf non racconti storielle mentre, alle sue spalle, la Cina arma i cannoni (del vino) per invadere come un fiume in piena l’Occidente.

Le dichiarazioni trovano però conferme importanti. Di recente, Great Wall Wine, uno dei maggiori player cinesi del settore, detenuto dal colosso Cofco, ha tagliato il 40% della propria gamma. Si tratta delle referenze più economiche.

Una scelta dettata non solo dalla necessità di semplificazione del portafoglio, negli anni in cui la Cina inizia a mettere i piedi fuori dai propri confini, con le proprie etichette di vino.

I consumatori cinesi sono entrati in una nuova era: cercano la qualità e non amano seguire i grandi brand”, spiegava nel 2017 Li Shiyi, general manager di Great Wall Wine, intervenendo a Prowine China.

E in effetti ne è passato di tempo da quando la viticoltura comparve nella Repubblica Popolare, sul finire del 1800. “Oggi bevono vino un po’ tutti in Cina – spiega il rappresentante di Great Wall Wine interpellato a Prowein – dai giovani agli anziani. Il consumo pro capite è cresciuto negli ultimi 20 anni grazie ai film“.

“I protagonisti di queste sceneggiature – continua la fonte di WineMag – erano per la maggior parte di abitanti di Hong Kong, molto ricchi, intenti a degustare del vino, con il loro bel calice in mano. A dare la spinta ai consumi è stato il ceto medio cinese e nessuno intende abbassare il prezzo del vino importato, né tanto meno di quello prodotto in Cina da un numero sempre più crescente di cantine”.

Ma chi ci assicura che il vino cinese non farà la fine della moda, o dei giocattoli taroccati e senza certificazioni che alimentano il mercato nero mondiale? “Conosco bene il problema, ma questo non accadrà mai per il business del vino. Anche perché il nostro obiettivo è arrivare a produrre vini di qualità che possano competere con l’Occidente“.

A questo punto il nostro interlocutore si alza e torna svelto, con una bottiglia di vino in mano. “Do you know Mr Michel Rolland?“, chiede il nostro interlocutore cinese mostrando una elegante etichetta di Cabernet Sauvignon, vendemmia 2012.

Si tratta di un enologo francese di fama mondiale, che sta lavorando per diverse cantine del Nuovo Mondo, tra cui proprio Chateau Sungod, uno dei fiori all’occhiello di Great Wall Wine. “Questo vino – continua – è in vendita a 250 euro in Cina. E’ a questo tipo di prodotti che guardiamo con interesse”.

E c’è poi l’altro aspetto da considerare. “I costi di produzione del vino, in Cina, sono attualmente più alti che in Occidente. Quindi sarà difficile trovare, anche fuori dal Paese, dei vini che costino meno di 10 euro”.

LA DEGUSTAZIONE

D’accordo, ma come sono i vini cinesi? Buoni? Pessimi? La risposta migliore è corretti. Nessun difetto – non si può dire lo stesso di altri territori presenti al Prowein 2019 di Düsseldorf, come la volatilissima Georgia o la Grecia – ma al contempo una grande difficoltà ad emozionarsi davvero, al cospetto del calice.

Sono tutto sommato buoni il Riesling Italico allevato a 1200 metri d’altezza, nella regione del Ningxia, e quello Renano cinese, che cresce nel Shacheng. Così come è interessante, per restare tra le varietà a bacca bianca, il vino prodotto dalla varietà autoctona Longyan: la vendemmia 2018 ricorda per la parte erbacea un Sauvignon Blanc, dalla chiusura vagamente tannica dovuta a una leggera macerazione.

Tutti internazionali i vitigni dei rossi degustati, dal Marselan, la verità ottenuta dall’incrocio tra Cabernet Sauvignon e Grenache, ai veri e propri Cabernet, passando per la grande “Selection” elaborata da Rolland “con” Great Wall Wine (preposizione “con” su cui il nostro interlocutore pone l’accento) e un buon uvaggio Merlot-Cabernet, vendemmia 2012.

La Cina, in definitiva, sembra essere nella fase della presa di coscienza di sé stessa e dei propri mezzi. Quello stato morale del calciatore senza infamia e senza lode, che in allenamento corre, si impegna e sa di poter contare sulla fiducia del mister. Che però non lo schiera, la domenica.

In campo, ancora per un po’, ci finiranno sempre quelli col codino o il numero 10 sulle spalle. Che se non è il 10 è il 7. I campioni, insomma. Quelli capaci di metterla all’incrocio, cambiando il risultato con una magia. Del resto, con dei titolari così al mondo, nessuno vuole mettere fretta alla Cina. O no? Cin, cin.

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