Degustatore Slow Wine stipendiato da una distribuzione di vino naturale

Succede in Veneto. Conflitto d’interessi per il doppio ruolo di Gianpaolo Giacobbo, tra Chiocciole e Arké

EDITORIALE – Momento Marzullo, ma neanche troppo. Seduti comodi, per favore. Domanda: se foste vignaioli, affidereste il giudizio dei vostri vini a una Guida che annovera, tra i degustatori, gente stipendiata da una distribuzione di vino?

Ecco, lo dicevo. Più che una domanda “marzulliana”, questa è a tutti gli effetti una domanda retorica. Eppure, così accade. In Veneto.

La distribuzione di “vini naturali” Arké, fondata dalla famiglia Maule e gestita da Francesco – figlio dell’Angiolino patron di VinNatur – e dalla moglie Erica Portinari, ha annunciato in pompa magna l’ingresso “in pianta stabile” di Gianpaolo Giacobbo. Un “amico”.

Peccato si tratti di uno dei referenti del Veneto di Slow Wine, piattaforma enologica di Slow Food, il movimento nazionale fondato da Carlo Petrini. Al di là della correttezza e della professionalità di Giacobbo, che forse solo il Padre Eterno potrà e dovrà giudicare, pare evidente il conflitto d’interessi tra i due ruoli. Un po’ come se il commercialista, in pausa pranzo, facesse il finanziere.

Una vicenda su cui qualcuno, in Veneto, chiacchiera ormai da anni. Il rapporto di collaborazione tra il degustatore di Slow Wine e la distribuzione Arké non è infatti nato ieri. Eppure tutti tacciono e hanno taciuto, almeno ufficialmente. Produttori, stampa, amici, colleghi.

E’ quella che mi piace definire omertà del pezzo di terra.

In Italia (e circoscrivo geograficamente perché vivo qui, mangio e bevo qui) parlano e denunciano solo due categorie: quelli che non hanno niente da perdere (ma proprio niente) e quelli che, più semplicemente, hanno una Coscienza (questi ultimi sono tutto tranne che eroi: fanno solo il giusto, sempre).

Chi ha un “pezzo di terra” da difendere, seppur piccolo e ormai quasi sterile, non apre bocca in Italia per paura di perdere quel poco che si è guadagnato.

Non importa come, l’importante è conservarlo. Anche col silenzio.

Chi ha una Coscienza (e una Coscienza dovrebbero averla tutti quelli che scrivono, giudicano, editano, organizzano eventi e influenzano in maniera varia i consumi dei lettori, anche potenziali) invece parla (e scrive) senza temere conseguenze: ovviamente se ha qualcosa di sensato da dire, o da scrivere.

E allora perché la stampa, in Italia, raramente denuncia? La risposta è semplice. E voglio restare nel campo della dell’enogastronomia, per non allargare troppo il cerchio. In Italia, di giornalismo e di vino, non si campa.

LA STAMPA ENOGASTRONOMICA IN ITALIA
Molti giornalisti enogastronomici vengono pagati (quando vengono pagati) pochi euro ad articolo. Pagamenti che tardano ad arrivare, contratti a tempo determinato che saltano (“Sotto al prossimo, chi è il numero 744? Prego, questa è la sua scrivania da stagista”), giornali che chiudono, portali offline, sono all’ordine del giorno.

La penna di chi scrive di vino e di cibo, in italia, rischia di rimanere spesso senza inchiostro, in un vorticoso e beffardo gioco del destino che porta il writer di turno a scrivere di beni che non può neppure lontanamente permettersi.

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PER CHI NON LO SAPESSE
Giornalisti e winewriter
(nella categoria rientrano ormai anche le graziose donzelle che necessitano di due sedute dall’estetista prima dello scatto alla bottiglia, o della partenza della #wineporn diretta su Instagram) vengono invitati a dei tour dai Consorzi e dalle cantine.

Vitto e alloggio pagato, per scrivere di questa o quella Denominazione. Di questo o di quel produttore. Mettetevi nei panni degli invitati: dareste mai problemi ai padroni di casa? E a chi vi invita? Ecco, appunto: fareste di testa vostra, in caso di necessità, solo se foste molto dotati (della Coscienza di cui sopra, s’intende). E vi assicuriamo che non finisce sempre così.

Eppure è vero anche il contrario: dall’altra parte della barricata, nel Paese del Bengodi della critica enogastronomica italiana, esistono tuttora personaggi alla moda che girano per cantine col Suv e il rimborso spese, pure per la moglie (cosa che avviene pure le compagne di certi fighissimi wine & food influencer).

Beati quelli con lo specchio del bagno di casa sporco
sin dalla mattina, quando se la lavano. La faccia.

Tutta questa spataffiata sull’omertà e sul “pezzo di terra” mica per fare caciara. Piuttosto per dire che, in fondo, pure il buon degustatore di Slow Wine Veneto deve arrivare a fine mese. E per questo non lo biasimiamo. Siamo tutti sulla stessa barca. Ma l’etica, beh. Quella è un’altra cosa. E non siamo noi a insegnarla. In alto le Chiocciole. Cin, cin.

 

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2 Thoughts to “Degustatore Slow Wine stipendiato da una distribuzione di vino naturale”

  1. Nicola Menin

    Ho riflettuto a lungo se valesse o meno la pena commentare questo articolo poichè, il primo pensiero che ho avuto, mi portava a non voler valorizzare con alcun commento una scrittura così sterile. Alla fine due parole mi sento di dirle, e rimarrò completamente non schierato. Fare della propria passione una professione è agli occhi di molti un sogno, una chimera, raggiungere il nirvana professionale. Molto spesso si sottovaluta il fatto che, ad un amatore appassionato è concesso il lusso di approfondire quando vuole. Ad un professionista appassionato questo lusso non è concesso. Ci si aspetta da lui il massimo della preparazione e della profondità nella materia. Diventare professionista a volte costa proprio il doversi allontanare da alcuni aspetti/prodotti ai quali si era particolarmente predisposti, per lasciare spazio all’ approfondimento più vasto e dettagliato su un numero di varietà decisamente importante. Tanto maggiore sarà la passione che ci si mette nel processo di apprendimento tanto più vero e viscerale sarà lo stesso. Quanto tempo? Quanti viaggi? Quante Bottiglie aperte e comperate? Quante persone lungo il viaggio? Lascio a Voi immaginarlo. E di tutto questo percorso, di questo viaggio meraviglioso e faticoso il professionista non dovrebbe scrivere nulla in quanto professionista? Il conflitto di interessi a mio avviso si può contestare nel caso in cui tutto questo fosse stato fatto con l’obiettivo preciso, fin dal primo momento, di trarne vantaggio in un modo o nel altro e Le assicuro, caro Davide Bortone, che stiamo parlando di due persone diverse. Ciò che invece mi piacerebbe sapere, visto che anche Lei scrive di vino, e presumo quindi ne goda anche dei piaceri: a cosa porta il suo articolo? Quale valore aggiunto ha dato al settore? Con tutto il rispetto che ho per Gianpaolo, Lei crede veramente che una persona possa condizionare il mercato italiano del vino? Ergo le suggerisco di applicare la legge dei tre setacci di Socrate e vedrà che del suo articolo rimarrà esattamente quello che vale: nulla. Cordialmente. Nicola Menin

  2. Buonasera Nicola,
    grazie per aver espresso il suo parere.
    Cordiali saluti
    Davide Bortone, direttore responsabile winemag.it

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