Barrique e bollicine. Viaggio all’Azienda vitivinicola Montesissa, fra tradizione e futuro

Il Gutturnio Riserva, vino fermo, di struttura, affinato in legno, è un prodotto difficile da reperire sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Siamo andati a trovare una famiglia di viticultori piacentini che produce vini dagli anni Venti, tra cui proprio un Gutturnio Riserva finito sotto la nostra lente di ingrandimento, nelle scorse settimane. Ci troviamo a Rezzano di Carpaneto Piacentino, in località Buffalora, nel pieno della Val Chero, sul territorio collinare che si apre a pochi chilometri dall’Autostrada A1, non lontano dal borgo medioevale di Castell’Arquato e da Velleja Romana.
Ad accoglierci c’è Ilaria Montesissa, 37enne cotitolare dell’azienda di famiglia, sorta su quello che all’inizio dello scorso secolo era un bosco. “Pian piano – spiega – la famiglia ha iniziato a impiantare vigneti e a vendere uva al mercato. Poi siamo passati alla vinificazione, con vendita di vino sfuso alle osterie di Piacenza.
In seguito, con l’avvento di mio nonno Francesco, di mia nonna Alma Franchini e dei loro figli Roberto e Gianluigi, mio padre e mio zio, l’azienda vitivinicola Montesissa ha iniziato ad abbandonare le damigiane e a dedicarsi all’imbottigliamento”. Una vera e propria rivoluzione quella apportata in cantina, ma che parte in realtà dalla vigna. Siamo a 200 metri sul livello del mare, in una zona collinare dal terreno limoso argilloso.
Ottima l’esposizione dei vigneti, su tutti e quattro i punti cardinali. Trenta ettari totali, di cui oltre venti vitati. La Montesissa coltiva le varietà principali del Piacentino. Dunque Malvasia, Ortrugo, Barbera e Bonarda, oltre agli internazionali Chardonnay, Merlot e Syrah.
La casa-cantina della vinicola Montesissa, con una superficie di 500 metri quadrati, si affaccia su un terrapieno vitato, alla base del quale scorre il torrente Chero. Il vento sferza la valle e regala a questa porzione di territorio del Comune di Carpaneto Piacentino l’inequivocabile nome: Buffalora.
“Tutte le uve vengono conferite qui durante la vendemmia – spiega Ilaria Montesissa – vinificate, imbottigliate e vendute. In base alle annate, produciamo tra le 180 e le 200 mila bottiglie. Solo una piccola parte, circa il 2%, finisce nella grande distribuzione organizzata. In particolare abbiamo raggiunto un accordo con la catena Il Gigante”.
IL RAPPORTO CON LA GDO
Ed è proprio sugli scaffali del gruppo milanese di Bresso che abbiamo pescato l’ottimo Gutturnio Riserva Costa Pancini, vendemmia 2010, prodotto dall’azienda vitivinicola Montesissa. Un rapporto piuttosto turbolento, tuttavia, quello con la catena di supermercati presieduta da Giancarlo Panizza.
“Per via di alcune incomprensioni – spiega Luca Montesissa, 34 anni, cugino di Ilaria e cotitolare dell’azienda – molto probabilmente si terminerà entro breve la nostra avventura in gdo, per lo meno con la catena attuale”. Problemi che riguarderebbero l’etichettatura delle bottiglie da un lato, “poco gradita al buyer, nonostante l’invio di numerose altre etichette differenti, con layout più moderni”.
Mentre dall’altro le “difficoltà nella gestione degli ordini e delle consegne”, che finiscono per appesantire il lavoro di quella che – tutto sommato – è una piccola azienda a conduzione famigliare, in cui il 60 % del fatturato è rappresentato dalle vendite nel canale Horeca (dunque enoteche e ristorazione) e il restante riguarda la vendita a privati e al dettaglio, soprattutto in provincia di Piacenza.
“Non avevamo mai lavorato prima con la Gdo – aggiunge Ilaria Montesissa – soprattutto perché abbiamo prezzi medi un po’ più alti degli altri produttori della zona, con un produzione più piccola e tesa verso la qualità. I supermercati chiedono prezzi più bassi. Abbiamo deciso comunque di provare, incanalando in gdo la vendita di alcuni nostri prodotti: Bonarda, Barbera, Gutturnio ‘base’ e Riserva, oltre all’Oltrugo.
In generale, non possiamo certo definire negativa questa esperienza, anche se ci spiace un po’ vedere il prodotto deprezzato, quando è posto in promozione!”. Nella zona, del resto, sono molti i produttori che hanno deciso di investire nella grande distribuzione.
“Il supermercato – commenta Ilaria Montesissa – non è più visto come luogo dove poter reperire solo vini di bassa qualità, con prezzi bassi. C’è molta scelta, dunque il cliente può trovare anche vini da 30 euro, di qualità buona. Vendere vino al supermercato, insomma, non è più penalizzante a livello d’immagine per le aziende vinicole”. Come si fa, allora, a contrastare chi accetta di vedere il proprio Bonarda o il proprio Ortrugo a 1,99 euro nei supermercati?
“Noi abbiamo sempre creduto nella qualità più che nella quantità – risponde piccata Ilaria Montesissa – e nonostante avessimo sin dagli anni passati prezzi più alti rispetto agli altri, i clienti ci hanno sempre dato costantemente la soddisfazione più grande: costa di più ma torno da voi, ci dicono in molti, perché il vostro vino è più buono, il mattino seguente non ho il mal di testa, non mi viene il mal di stomaco e posso berne un bicchiere in più senza star male! Negli anni la qualità non è cambiata, anzi è in costante miglioramento. E alla fine sono le persone che ti fanno capire che se lavori bene ne vale la pena, anche in periodi di crisi come questo”.
Un mercato in crescita, anche per la Montesissa, è quello dell’estero. “Abbiamo un commerciale in Cina – spiega Ilaria – e stiamo cominciando a stringere rapporti commerciali con il Paraguay, mercato che si sta aprendo e in cui riponiamo speranze.
In Cina abbiamo un collaboratore italiano che ha inserito i nostri vini in una sorta di catena di enoteche, il cui titolare era alla ricerca di prodotti italiani dal medio-basso livello fino all’alto livello. Dunque ha fatto un groupage in varie zone d’Italia, tra cui Piacenza, decidendo di inserire i nostri vini. Non sono quantità grandissime, ma siamo presenti con prodotti di qualità che ci assicurano un buon ritorno, anche a livello di immagine”.


L’UVA, LE VIGNE, LA VINIFICAZIONE

Un’azienda che sta cercando nuovi mercati nell’estero, dunque, la vitivinicola Montesissa. Ma che gioca in maniera consapevole il suo ruolo anche nel Piacentino, evitando di contribuire al declassamento di prodotti come il Bonarda o l’Oltrugo dei Colli Piacentini, divenuti ormai veri e propri concorrenti sulla tavola dei consumatori del Nord Italia, alla stregua del Bonarda o del Pinot dell’Oltrepò Pavese.

“Ed è un peccato – evidenzia Ilaria Montessissa – che in zona non si riesca a fare squadra, per far conoscere anche nel Sud Italia un vino di pregio come può essere il Gutturnio, che in meridione in pochissimi conoscono”. Negli anni, di fatto, la Montesissa, dopo aver tentato di cambiare “il verso delle cose” assieme ad altri produttori della zona, ha deciso di uscire dal Consorzio Vini Doc Piacentini.

“Non siamo più iscitti da due anni – spiega Ilaria Montesissa – in quanto riteniamo che non serva a nulla essere iscritti a un ente che negli anni non è riuscito a promuovere a dovere la cultura del vino piacentino, al di là dei confini della stessa provincia. Del resto è la burocrazia, più in generale, che sta ostacolando lo sviluppo di tante aziende vitivinicole serie”.

La produzione d’eccellenza della Montesissa è certificata del resto dalle tante botti presenti nell’area della cantina vecchia, la parte storica dell’azienda che risale agli anni Sessanta. “Il nonno Francesco – commenta Ilaria – è un amante dei vini fermi e affinati in botte, per cui non poteva dedicare parte della produzione al Gutturnio Riserva, ma anche a un Bonarda Riserva, non venduto in gdo, che molti apprezzano e che costituiscono assieme il vero fiore all’occhiello della nostra azienda”.

Il Bonarda, denominato “El Ladar è ottenuto mediante affinamento in barrique di quasi 12 mesi, per poi maturare ulteriormente in bottiglia per un anno, prima della commercializzazione. Dal 2003, nelle annate migliori, ne vengono prodotte circa 2 mila bottiglie l’anno e non mancheremo di fornire ai nostri lettori l’esito della degustazione di una bottiglia della vendemmia 2009.

“Raccogliamo l’uva dopo averla fatta sovramaturare sulla pianta – spiega Ilaria Montesissa – e poi la vinifichiamo. È l’esatto opposto del consueto Bonarda piacentino: un vino ‘gnucco’, di gran corpo, che raggiunge anche i 15,5 gradi di alcol in volume. Il 2003, peraltro, si sta ammorbidente adesso…”.

Del resto, tutti sanno ormai che l’ultima frontiera del vino sono le bollicine. E anche alla Montesissa non stanno a guardare.

I clienti moderni chiedono sempre più spesso vini facili da bere – ammette Ilaria – è dunque abbiamo cominciato sin dal 2003 a provare uno spumante metodo classico e, da ormai tre anni, produciamo anche un Pinot Nero vinificato in bianco col metodo Charmat“.

“Effettivamente un mercato in crescita, con la produzione praticamente duplicata nel giro degli ultimi due anni, riducendo la produzione dei fermi affinati in legno. Come del resto è in crescita la produzione di un Gutturnio Classico Superiore, vino fermo più facile da bere rispetto al Riserva, anche per la sua gradazione che non supera i 13,5 gradi”. Insomma, alla Montessissa si guarda al futuro con le bollicine. Tenendo sempre lo sguardo e la mente fissi alla tradizione piacentina Doc.

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