Prosecco non è sinonimo di spumante: la campagna di vinialsuper #nonsoloprosecco

Quante volte vi è capitato di ordinare al bar “un Prosecco”? Ma vi siete mai chiesti se in quel calice c’era davvero del “Prosecco”?

Con il termine “Prosecco”, infatti, non si definisce un qualsiasi “spumante” o vino “con le bollicine”. Bensì quel determinato spumante – Doc o Docg – prodotto in Veneto e in Friuli Venezia Giulia.

Vi sognereste mai di chiamare “Chianti” qualsiasi vino rosso? Crediamo (speriamo) di no. Ecco perché occorre fare un po’ d’ordine: mentale, innanzitutto. E poi culturale.

Vinialsuper lancia quindi la campagna “Prosecco non è sinonimo di spumante” e l’hashtag #nonsoloprosecco, che vi invitiamo a utilizzare. Lo facciamo per voi. Perché vogliamo esser certi che, quando ordinate un “Prosecco”, intendiate proprio quel vino. Condividete l’articolo, ditelo agli amici, fatevi un selfie con la scritta “Prosecco non è sinonimo di spumante”! Insomma: inventatevi qualcosa per diffondere la cultura del vino.

I TRE PROSECCO: DOC E DUE DOCG
Sono tre le “versioni” di Prosecco, prodotte in base a disciplinari ben precisi: una a Denominazione di origine controllata (Doc) e due a Denominazione di origine controllata e garantita (Docg). Per tutti vale il metodo di spumantizzazione delle uve denominato Martinotti o Charmat, che prevede la rifermentazione del mosto in autoclave.

E’ questa la differenza principale con il Metodo Classico, che prevede una seconda fermentazione in bottiglia. Con il Metodo Classico (altrimenti noto come Champenoise) viene infatti prodotto lo Champagne, così come gli spumanti italiani più pregiati: Trento Doc, Franciacorta Docg, Alta Langa Docg e Oltrepò Pavese Docg, per citarne alcuni.

IL PROSECCO “MILLESIMATO”
Anche la definizione “Millesimato” è oggetto di grande confusione: di fatto, tutti i “prosecchi” sono “millesimati”. Questo termine, che non ha nessuna valenza relativa alla qualità della bottiglia, serve a evidenziare che tutte le uve con il quale è stato prodotto lo spumante sono state raccolte nella medesima annata. Frutto, dunque, dello stesso anno di vendemmia.

Ovvio, dunque, che un Prosecco sia “Millesimato”. Non sarebbe invece così scontato di fronte a un Metodo Classico italiano o a uno Champagne, che possono essere prodotti con assemblaggi di più annate.

La scritta “Millesimato” su un Prosecco è dunque un escamotage di marketing (pur consentito dalla legge italiana) con il quale il produttore – giocando sull’ignoranza del consumatore – tenta di dare inutile lustro alla propria etichetta, scimmiottando il Metodo Classico e gli Champagne. Anche se è vero che qualche casa vinicola usa miscelare annate differenti di Glera, per uniformare anno di anno in anno il gusto “di cantina”. Vediamo dunque le varie tipologie dello spumante Prosecco.

Prosecco Doc
Citando il disciplinare: “Il vino a denominazione di origine controllata ‘Prosecco’ deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti costituiti dal vitigno Glera; possono concorrere, in ambito aziendale, da soli o congiuntamente fino ad un massimo del 15%, i seguenti vitigni: Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero (vinificato in bianco), idonei alla coltivazione per la zona di produzione delle uve (province di Belluno, Gorizia, Padova, Pordenone, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza”.

Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg
Sempre citando il disciplinare: “La denominazione d’origine controllata e garantita ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’, o ‘Conegliano – Prosecco’ o ‘Valdobbiadene – Prosecco’, è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti per le seguenti tipologie: ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’, ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” frizzante’, ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’ spumante, accompagnato dalla menzione ‘Superiore di Cartizze’ se ottenuto nella tradizionale sottozona, nei limiti e alle condizioni stabilite”.

La zona di produzione delle uve atte ad ottenere i vini ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’ comprende il territorio collinare dei Comuni di Conegliano, San Vendemiano, Colle Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison di Valmarino, San Pietro di Feletto, Refrontolo – Susegana, Pieve di Soligo, Farra di Soligo, Follina, Miane, Vidor e Valdobbiadene.

Il vino spumante denominato “Cartizze”, ottenuto da uve raccolte nel territorio della frazione di San Pietro di Barbozza del Comune di Valdobbiadene (dove deve avvenire l’intero processo di vinificazione), ha diritto alla sottospecificazione “Superiore di Cartizze” (107 ettari totali di vigneto, il “Cru” del Prosecco).

I vini “Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti costituiti dal vitigno Glera. Possono concorrere, in ambito aziendale, fino ad un massimo del 15%, le uve delle seguenti varietà, utilizzate da sole o congiuntamente: Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera e Glera lunga.

Colli Asolani Prosecco (oggi Asolo Prosecco)
Secondo il disciplinare, “la denominazione di origine controllata e garantita ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, per le seguenti tipologie: ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’, ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ spumante, accompagnato dalla menzione superiore e ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ frizzante”.

“La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a Docg ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ comprende l’intero territorio dei comuni di Castelcucco, Cornuda e Monfumo e parte del territorio dei comuni di Asolo, Caerano San Marco, Cavaso del Tomba, Crocetta del Montello, Fonte, Giavera del Montello, Maser, Montebelluna, Nervesa della Battaglia, Paderno del Grappa, Pederobba, Possagno, San Zenone degli Ezzelini e Volpago del Montello”, con ulteriori delimitazioni geografiche specifiche.

IL PROSECCO ROSÉ? NON ESISTE
Le norme che disciplinano la produzione del Prosecco sono chiare e non lasciano spazio a interpretazione. Ma la comune richiesta di “Prosecco” come sinonimo di “spumante” porta con sé un altro equivoco: quello del “Prosecco rosé”. Semplice smontarlo: non esiste.

La tecnica di vinificazione delle varie tipologie di Prosecco, infatti, vieta l’utilizzo di uve rosse vinificate in rosa, ovvero con breve contatto delle bucce a contatto con il mosto.

Le uve a bacca rossa come il Pinot Nero (per un massimo del 15%) adatte alla produzione del Prosecco, infatti, devono essere vinificate senza buccia, responsabile del rilascio del colore rosso (o rosato), in base alla durata del contatto con il mosto.

La vinificazione in bianco prevede dunque la fermentazione del solo succo d’uva, senza la parte solida costituita dalla buccia.

Se sulla carta dei vini di un ristorante doveste mai leggere “Prosecco Rosé”, come nel caso clamoroso denunciato da vinialsuper che vede come protagonista il Ricci di Milano (ristorante di Belen e Bastianich) sappiate che si tratta di un (patetico) escamotage per vendere qualcosa che non esiste, approfittandosi della riconoscibilità e notorietà, ormai internazionale del “Prosecco”.

In quel caso: rimbalzate la proposta e chiedete lumi al ristoratore. Oppure, meglio: alzatevi e cambiate ristorante. Magari consigliando di leggere questo articolo. #nonsoloprosecco

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